Siamo tutti figli di un’ulteriorità, di un Oltre. Ma non umanizziamolo.
Non applichiamogli le nostre categorie di bene-male, di trascendenza-immanenza,
di mente-corpo, di soggetto-oggetto, di conoscente-conosciuto, di origine-fine,
ecc. Quando definiamo l’Origine, l’Oltre, in termini di essere, causa prima,
primo motore, eternità, principio, fonte, coscienza universale, uno-tutto,
amore, potenza, bene, volontà, conoscenza, giustizia, signore, padre, figlio,
spirito, verbo, ecc., riduciamo Dio a un semplice idolo della mente.
L’Oltre non va inteso in senso spazio-temporale, ma proprio come l’ulteriorità
dello spazio-tempo, e quindi del prima e del dopo, qualcosa che non è
pensabile, ma solo contemplabile dal punto di vista della non-mente. Infatti,
qualunque punto di vista non può che essere parziale; ed è solo assumendo la
parzialità di tutti i punti di vista che si attinge, in un attimo, il non-punto
di vista. Che non è né mancanza dei punti di vista, né l’insieme dei punti di
vista, ma l’Oltre. In un attimo lo si coglie e in un attimo lo si perde.
A questo punto (o non-punto) si può arrivare con un salto logico: un’apprensione senza ragionamento, un’intuizione al
di là della mente, un’apertura, uno scatto.
La meditazione non è un’operazione di apprensione logica, ma un
tentativo di cogliere la realtà con la non-mente.
Questo può avvenire solo dopo che la normale attività mentale è stata messa in
stallo, essendo stata posta di fronte alle proprie insolubili contraddizioni
logiche.
Esistono posizioni psico-fisiche che favoriscono tale apprensione.
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