Io soffro, ma questo fa parte del gioco universale. Entro certi limiti,
non c’è colpa all’origine della mia sofferenza, così come non c’è merito
all’origine della mia gioia.
Per esempio, la felicità di alcuni incontri non è tanto un frutto della
mia volontà, quanto un frutto della vita. Gli amori vengono e vanno, mentre io
non posso far nulla per suscitarli né farli finire. Certe cose fondamentali ci
vengono date: non vengono scelte.
La vita è un dono, ma anche un caso della natura. Io non posso controllare
tutte le combinazioni, tutti i fattori, tutte le variabili. Sono all’interno di
un gioco più grande sulle cui regole non posso influire.
La sofferenza è universale perché fa parte del motore della vita. Ma
anche la gioia. E, tuttavia, all’interno di questo gioco, io non sono soltanto
giocato – posso fare i miei giochi, per quanto piccoli. Posso cercare di
minimizzare la sofferenza e di massimizzare la gioia.
Nella sofferenza, la massima virtù è la capacità di resistere senza
farsi distruggere, perché è certo che, per la legge dialettica del divenire,
neppure il dolore può durare a lungo.
La ruota deve girare.
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