martedì 7 aprile 2015

Il dolore di vivere

Noi vediamo la reincarnazione come la possibilità di avere più di un’esistenza, come un mezzo per continuare a vivere sotto forme più o meno diverse, una specie di “eterno ritorno” di Nietzsche.
Ma in Oriente la vedono come una condanna. Gli orientali vorrebbero liberarsene, vorrebbero finalmente uscire dal ciclo delle nascite e delle morti per approdare all’infinito da cui proveniamo. Perché la vita, per quanto possa essere bella e fortunata, è pur sempre un alternarsi di gioie e di dolori, oltretutto distribuite non equamente tra gli individui.
Insomma, la continuità della vita, in Oriente, non è considerata qualcosa di positivo, dato che non fa che protrarre lo stato di insoddisfazione, di mancanza, di desiderio e di sofferenza-insofferenza. La vera meta è mettere fine a questa altalena (samsara), è il brahman, che non è, come il nostro ingenuo Dio, il bene e l’amore, ma ciò che si pone al di là del bene e del male, dell’amore e dell’odio, del sé e dell’altro.

Quanta differenza rispetto alla nostra povera civiltà occidentale del benessere, del consumismo, della ricchezza e del progresso illusorio – come se tutte queste cose potessero toglierci il dolore di vivere.

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