Noi vediamo la reincarnazione come la possibilità di avere più di un’esistenza,
come un mezzo per continuare a vivere sotto forme più o meno diverse, una
specie di “eterno ritorno” di Nietzsche.
Ma in Oriente la vedono come una condanna. Gli orientali vorrebbero
liberarsene, vorrebbero finalmente uscire dal ciclo delle nascite e delle morti
per approdare all’infinito da cui proveniamo. Perché la vita, per quanto possa
essere bella e fortunata, è pur sempre un alternarsi di gioie e di dolori, oltretutto
distribuite non equamente tra gli individui.
Insomma, la continuità della vita, in Oriente, non è considerata
qualcosa di positivo, dato che non fa che protrarre lo stato di
insoddisfazione, di mancanza, di desiderio e di sofferenza-insofferenza. La
vera meta è mettere fine a questa altalena (samsara),
è il brahman, che non è, come il
nostro ingenuo Dio, il bene e l’amore, ma ciò che si pone al di là del bene e
del male, dell’amore e dell’odio, del sé e dell’altro.
Quanta differenza rispetto alla nostra povera civiltà occidentale del
benessere, del consumismo, della ricchezza e del progresso illusorio – come se
tutte queste cose potessero toglierci il dolore di vivere.
Nessun commento:
Posta un commento