Liberarsi del proprio ego è difficile, perché ognuno di noi è il proprio
ego e, in realtà, non vuole perderlo. C’è voluto tanto tempo per formarsene uno
e per farne uno strumento di identificazione e di sopravvivenza.
Ma si può lavorare su tante identità e ruoli sociali che sono
sovrastrutture: per esempio quelle della professione. Io posso essere un
notaio, un insegnante o un operaio, ma è chiaro che sotto queste funzioni c’è
un vero uomo, una struttura che è molto più profonda e autentica.
Il sistema più semplice per liberarsi del proprio egocentrismo è amare
qualcuno. Se amiamo una persona, automaticamente mettiamo da parte le nostre
abituali esigenze egoiche per metterci a disposizione delle esigenze
dell’altro.
Le grandi anime, quelle si mettono al servizio degli altri, usano in
realtà questo sistema per uscire dai limiti – sempre limitati, sempre
soffocanti e alla lunga sterili – del proprio ego.
Ma ognuno di noi può farlo quando si mette a vivere con qualcuno, quando
forma un coppia o una famiglia. È per questo che il matrimonio viene
considerato sacro in molte religioni.
Un monaco zen, Shozan Jack Haubner (nel suo libro Zen Confidential, Ultra, Roma, 2015), fa notare che “il matrimonio è
la pratica spirituale perfetta: è faticoso, sessualmente frustrante, l’assassino
dell’ultima illusione, pieno di notti oscure dell’anima e un antidoto perfetto
all’idea che la tua vita appartenga solo ed esclusivamente a te.”
Ma lo è nella misura in cui ci si lavora sopra, dimenticandosi di ogni
romanticheria ed essendo pienamente coscienti che si tratta di una vera e
propria pratica spirituale – in realtà come ogni fase importante della vita.
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