martedì 21 aprile 2015

Il matrimonio come pratica spirituale

Liberarsi del proprio ego è difficile, perché ognuno di noi è il proprio ego e, in realtà, non vuole perderlo. C’è voluto tanto tempo per formarsene uno e per farne uno strumento di identificazione e di sopravvivenza.
Ma si può lavorare su tante identità e ruoli sociali che sono sovrastrutture: per esempio quelle della professione. Io posso essere un notaio, un insegnante o un operaio, ma è chiaro che sotto queste funzioni c’è un vero uomo, una struttura che è molto più profonda e autentica.
Il sistema più semplice per liberarsi del proprio egocentrismo è amare qualcuno. Se amiamo una persona, automaticamente mettiamo da parte le nostre abituali esigenze egoiche per metterci a disposizione delle esigenze dell’altro.
Le grandi anime, quelle si mettono al servizio degli altri, usano in realtà questo sistema per uscire dai limiti – sempre limitati, sempre soffocanti e alla lunga sterili – del proprio ego.
Ma ognuno di noi può farlo quando si mette a vivere con qualcuno, quando forma un coppia o una famiglia. È per questo che il matrimonio viene considerato sacro in molte religioni.
Un monaco zen, Shozan Jack Haubner (nel suo libro Zen Confidential, Ultra, Roma, 2015), fa notare che “il matrimonio è la pratica spirituale perfetta: è faticoso, sessualmente frustrante, l’assassino dell’ultima illusione, pieno di notti oscure dell’anima e un antidoto perfetto all’idea che la tua vita appartenga solo ed esclusivamente a te.”

Ma lo è nella misura in cui ci si lavora sopra, dimenticandosi di ogni romanticheria ed essendo pienamente coscienti che si tratta di una vera e propria pratica spirituale – in realtà come ogni fase importante della vita. 

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