In un buon percorso
meditativo ci dovrebbero essere determinate fasi. La prima è la ricerca di uno
stato di tranquillità: samadhi o shamata. Di solito ci si arriva
concentrandosi sul respiro e in genere sul corpo.
Si registra lo stato
fisico-emozionale: agitato, nervoso, reattivo, rabbioso, pauroso, ecc.,
cercando di rilassare i punti e gli organi del corpo che appaiono tesi.
Calmando il respiro, si cerca di distendere questi punti.
Tranquillità, calma,
distensione sono i fondamenti della pratica, prima a livello fisico e poi
psichico. Uno dei metodi più usati per ottenere il rilassamento è seguire il
respiro, in modo da osservarne le caratteristiche (lungo, corto, affrettato,
lento, veloce, agitato, ecc.) e riportandolo ad uno stato di pace. Naturalmente
esistono vari altri metodi, che devono essere scelti in base alle preferenze
individuali. Ciò che conta è che l’organismo fisico sia del tutto calmo e
distaccato.
Dobbiamo arrivare al punto
in cui ci sia solo la respirazione, ma non un soggetto che respira.
La seconda fase consiste nel
portare alla calma anche le sensazioni, i pensieri e in genere tutti gli stati
mentali. A questo scopo occorre sviluppare l’osservazione di ciò che ci passa
nella mente e considerarlo quasi staccato da noi. I pensieri, le sensazioni e
le formazioni mentali transitano in un flusso continuo su cui abbiamo uno scarso
controllo. Ma la cosa importante non è tanto interromperle ed arrestarle quanto
prenderne le distanze. In altri termini, non dobbiamo identificarci con tutto
ciò che ci passa per la mente: noi non siamo i nostri pensieri.
Le formazioni mentali, nelle
loro varie configurazioni (sensazioni, desideri, recriminazioni, speranze, emozioni,
fantasie, ricordi, ecc.) sfilano davanti a noi come in una parata militare o in
uno spettacolo teatrale, ma noi non ci attacchiamo a nessuna di esse. Non ci
attacchiamo neppure all’idea che abbiamo di noi stessi, del nostro io, perché
si tratta di una semplice idea o di un’etichetta.
In realtà, quanto più
osserviamo distaccati e portiamo tutto il flusso mentale alla calma, tanto meno
ci identifichiamo con un soggetto. Come prima arrivavamo ad essere un tutt’uno
con il respiro, dimenticandoci di “chi” conducesse il respiro, così ora ci
rendiamo conto che noi siamo coscienza, non un io che è cosciente.
C’è il respiro, ma dov’è il
soggetto del respiro?
C’è la consapevolezza, ma
dov’è l’io che è consapevole?
Risvegliarsi è proprio
questo: scoprire che i nostri problemi nascevano tutti da una falsa identificazione
con un io. Vivevamo in un sogno ad occhi aperti. Attribuivamo ad un’immagine un
nucleo sostanziale, restringendo le nostre esperienze a piccole cose.
Mentre ora scopriamo uno
spazio e una profondità che neppure sospettavamo.
La liberazione è esattamente
questo. Non un’identificazione, una chiusura tra le pareti di un io, ma il suo
contrario: l'abbattimento delle barriere.