Ho affermato che le cose non possono solo darsi in sé, ma che devono essere anche in rapporto con altre cose. Quando cerchiamo di conoscerle, si stabilisce inevitabilmente un'interazione.
Questo è evidente quando si
consideri che l’ “in sé” e l’ “essere per l’altro” sono due poli opposti diadici.
Noi o qualunque cosa deve interagire e abbinarsi ad altre cose. Il che è stabilito dalla legge dell'azione e reazione, che non si limita a documentate un fatto, ma che enuncia una regola di conoscenza. Per conoscere, dobbiamo mettere in rapporto un' entità con un' altra. La conoscenza è inevitabilmente una relazione, buona o cattiva che sia.
Osservare la legge dell'azione e reazione anche nel campo della conoscenza apre la porta a una riflessione:
Perché ogni azione deve avere una reazione?
Il terzo principio della dinamica di Newton, quello dell'azione e reazione, è un fondamento della meccanica classica. Ma è anche alla base di molti fenomeni, dal movimento dei pianeti all'interazione tra le particelle, fino ai fenomeni logico-mentali.
La relazione
tra azione e reazione ha profonde implicazioni in ogni campo . Essa suggerisce che
nulla esiste in isolamento, ma che tutto è interconnesso. Ogni evento,
ogni azione, provoca una risposta, un'eco nell'universo. Questa idea è alla
base di molte visioni, dalla dialettica hegeliana alla teoria dei sistemi.
Ci rivela anche che il pensiero stesso segue questo schema, esprimendosi con moltitudini di diadi (bene e male, alto e basso, più e meno, prima e dopo, sopra e sotto, inizio e fine ecc.
Le diadi logiche sono le espressioni mentali del terzo principio di Newton.
Anche nelle
relazioni umane, ogni azione innesca una reazione. Un gesto gentile può
suscitare gratitudine, una parola offensiva può provocare rabbia. La
comprensione di questa dinamica è fondamentale per costruire relazioni.
La conoscenza stessa è innanzitutto un prodotto dell'interazione tra un soggetto conoscente e un oggetto conosciuto. In più, l'atto di conoscere è un'azione che provoca una reazione nell'oggetto conosciuto. Nel mondo animale, si costituisce una inevitabile relazione duale dinamica e dialettica, e nel mondo fisico ci sono tutte le forze e gli enti antitetici (particella e antiparticella ecc.).
Perché c' è questa necessità di relazione?
L'universo
sembra essere costruito sulla complementarità. Le forze, le energie, gli atti mentali, gli stati emotivi, le informazioni ecc. hanno bisogno di un contraltare per manifestarsi.
La relazione inversa e l'interazione dialettica sono alla base dell'evoluzione. Sia nel mondo fisico che in
quello biologico, i cambiamenti avvengono attraverso la contrapposizione tra polarità.
Anche il significato di una cosa è spesso
definito dalla sua relazione con altre cose. Un oggetto isolato nel vuoto
non ha alcun significato intrinseco.
In conclusione, la necessità di una reazione per ogni azione è un principio fondamentale che permea tutti gli aspetti della realtà, dalla fisica alla psiche, dalle relazioni umane alla conoscenza stessa. Questa interconnessione universale ci invita a riflettere sulla nostra posizione nel mondo e a riconoscere la nostra dipendenza dagli altri e dall'ambiente circostante.
Dunque la conoscenza è
essenzialmente un mettere in relazione le cose (due poli),
così come è evidente quando a conoscere è un soggetto che si contrappone a un oggetto. Si crea subito una diade che pone due poli in un rapporto di unione e di contrasto.
Se non ci fosse la relazione, non
si potrebbe conoscere; e se non ci fosse il contrasto, i due poli
coinciderebbero e quindi non ci sarebbe comunque conoscenza.
La conoscenza è data da un rapporto nella contrapposizione unitiva o nell'unione contrastante. Insomma una diade.
Prendiamo la diade amore/odio o
attrazione/repulsione. Un polo non può escludere l’altro, ma, anzi, prende
sostanza dall’altro. Se non ci fossero la divisione, la contrapposizione, l’odio e la repulsione ecc., che “senso” avrebbero i loro contrari? Ci sarebbe solo
indifferenza, non contatto, isolamento e quindi non-rapporto.
Se si cerca l’amore, è perché
viviamo nel’indifferenza, nel solipsismo, nella solitudine, nell’isolamento… Se
ci sentissimo felici e completi, che cosa cercheremmo?
Questo vuol dire che lo schema o il processo diadico vive di contrasti e cerca l’equilibrio, perdendolo sempre.
L'essere in sé e l' essere per l' altro costituiscono una diade, come l' interno e l' esterno di ogni cosa. Anche una mela ha questa distinzione: c' è la buccia e la polpa. Anche una cellula possiede l' esterno e l' interno.
L' "essere in sé" indica una condizione statica. i chiusura e di autosufficienza. Un sasso e in sé in quanto sasso, ma non è in sé in quanto parte di una montagna dalla quale si è staccato. E così ognuno di noi, che è in sé come individuo, ma non in sé in quanto prodotto di una relazione.
L' "essere per l'altro" va visto come il contrario dell' "essere in sé."
I due stati dell' essere rappresentano poli opposti. Ma, nonostante il contrasto, le due dimensioni sono complementari e necessarie per la vita. Per esempio, un individuo che vive solo "in sé" rischia l'isolamento e la solitudine, mentre chi vive solo "per l'altro" potrebbe perdere di vista se stesso.
Ma, al di là del mondo umano, ogni cosa ha i due aspetti, è una medaglia necessariamente con due facce. È ciò che ha uno spessore.
Soprattutto, le due dimensioni, tenute insieme, si riflettono nella struttura della coscienza, che è il dualismo degli esseri viventi. Nessun organismo potrebbe esistere senza coscienza. Non durerebbe un attimo.
L'ideale
sarebbe trovare un equilibrio tra queste due dimensioni, ovvero essere
in grado di coltivare la propria individualità e allo stesso tempo di
relazionarsi con gli altri. Ma l’equilibrio è
sempre instabile, precario, e ha bisogno – proprio come l’equilibrista sul filo
– di oscillare da una parte e dall’altra.
Del resto, la prova della necessità del contrasto tra due poli la troviamo in noi stessi, perché siamo dotati non solo di organi duali, ma anche di un cervello duale, di un Dna duale e di quelle straordinarie dualità che sono la coscienza e la consapevolezza.
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