Una donna normale, con marito e figli, svolge
varie attività che possono essere utilizzate come pratiche di meditazione.
Allevare figli, preparare il cibo, tenere in ordine la casa, far crescere, ecc.,
tutte queste azioni possono essere svolte con una consapevolezza meditativa,
ossia con una forte concentrazione e come mezzi altruistici per uscire da sé.
Insomma, se si opera con l’animo giusto,
consapevoli dell’importanza di ciò che si fa, queste attività sono già forme di
meditazione attiva. Ma non basta: la donna deve integrare queste pratiche in
una visione spirituale della vita.
Per far questo, è anche necessaria, negli
intervalli o nei momenti di libertà, una pratica formale (una meditazione
seduta, una meditazione di riposo, di immobilità, di quiete, di stasi), se non
altro per ritrovare un senso di scopo, la motivazione e l’intenzione, e
trasferire la forza, l’equilibrio e la pace ritrovata nella vita quotidiana.
La donna può meditare sul proprio utero come
vuoto, vacuità, vastità, spaziosità, matrice, non-essere da cui ha origine
l’essere. In effetti, la matrice uterina è parte e simbolo della vacuità
meditativa, ossia della ricerca di quel Vuoto primordiale da cui hanno avuto
origine tutte le cose.
Anche se la natura ultima delle cose non è né
maschile né femminile, ognuno deve arrivarci utilizzando le proprie
caratteristiche individuali.
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