Bhavana è
il termine sanscrito che indica la meditazione e significa “coltivare”. Il
corrispondente tibetano è gom, che
significa “familiarizzarsi”. Che cosa bisogna coltivare? Con che cosa bisogna
familiarizzarsi?
Ovviamente con la mente e
con il suo modo di funzionare.
E la mente, pur lavorando
spesso a ricordare il passato e a immaginare il futuro, deve essere studiata
qui nel presente.
Ecco il significato dell’espressione
“presenza mentale”: essere consapevoli di vivere, di essere presenti qui e ora.
Che cosa stiamo facendo? Che cosa stiamo sperimentando? Che cosa stiamo
vivendo?
Ora superiamo il contingente
e puntiamo all’essenza dell’essere.
Stando attenti, siamo in
realtà consapevoli di essere. Questo è il punto di partenza e di arrivo.
Non è più una questione di piacevole
o di spiacevole, di attrazione o di repulsione. Siamo l’essere che è
consapevole di essere, al di là di ogni stato particolare, di ogni
condizionamento contingente
Questo mio puro essere individuale
(atman) è l’essere fondamentale del
tutto (brahman). Ed è caratterizzato da
consapevolezza da gioia.
Così si fa il pieno di
gioia.
Ovviamente, in questo mondo
dove tutto cambia continuamente, arriveranno i momenti in cui ritorneranno le
preoccupazioni, l’ansia, l’insoddisfazione, la paura – in una parola la
sofferenza.
Me, se avremo fatto il pieno
di gioia e ne ricorderemo per lo meno il sapore, se ci saremo convinti che l’esperienza
della gioia legata al puro essere (non a questa o a quella acquisizione) è
sempre possibile, avremo la chiave del valore dell’esistenza e della nostra
capacità di resilienza.
Qui la meditazione opera
come un accumulatore.
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