Ci raccontiamo storie per
ingannare l’attesa, per rassicurarci, per trasportare la mente in un luogo
immaginario, dove tutto può accadere, per non pensare alle cose brutte che ci
circondano o che sono dentro di noi, per vincere la paura dell’ignoto e delle tenebre.
Per addormentarci.
Per non guardare in faccia
la realtà.
Per passare la nottata.
Ma è troppo poco, è una
difesa fragile e infantile, proprio come quella dei bambini che si fanno
raccontare favole.
Il problema è che nessuno
può sfuggire all’angoscia, al trauma, alla sofferenza. Siamo individui precari
e deboli, che vengono inevitabilmente investiti da dolore, solitudine, noia,
delusioni, sconfitte, fragilità, disperazioni, incidenti, violenze, malattie,
invecchiamento e morte.
Ora non è possibile evitare
del tutto la sgradevolezza della vita, le fatiche, le sofferenze, le esperienze
negative, le perdite. L’esistenza può riservarci esperienze gioiose, ma non può
proteggerci da quella angosciose. Tutti devono passarci, indipendentemente dal
fatto che siano ricchi o poveri, potenti o impotenti, grandi o piccoli, forti o
deboli.
E non si esce da questi
traumi raccontando o raccontandoci favole, assumendo droghe, consumando cose o
persone, non fermandoci mai, credendo ad aldilà consolatori o fuggendo in
qualche caverna o isola. Ciò da cui fuggiamo, in realtà è già dentro di noi e ce
lo portiamo dietro.
Anzi, più cerchiamo di
evitarlo, più ci sarà vicino a farci del male. Perfino i godimenti cui
ricorriamo possono alla fine produrre altra infelicità.
No, la fuga - materiale o
mentale – non è la via.
La via è l’accettazione
consapevole. È capire che questa è la realtà e che è inutile fuggire.
L’accettazione deve
diventare ad un certo punto serena. È nell’accettazione che si crea di nuovo
uno spazio vitale, breve o lungo che sia, per poter affrontare la vita.
Se ci sentiamo sbattuti
dalle ondate sugli scogli, possiamo metterci a contemplare la vastità, la
terribilità e la bellezza del mare.
Dobbiamo accettare due cose:
i dati di fatto e le nostre emozioni negative, senza cercare né di sminuirle né
di reprimerle. Dobbiamo saper accettare anche gli eventi e i sentimenti
sgradevoli, usando compassione ed auto compassione, sintonia e sensibilità. Già
questo ci aiuta a prendere le distanze, a comprendere e dunque ad uscire dal
trauma.
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