L’infanzia del Buddha ha un
evidente significato simbolico. Il figlio del re, ricco, iperprotetto, che ha a
disposizione ogni piacere nella sua reggia, tenuto lontano da ogni pericolo e perfino
dalla vista di ogni bruttura della vita, un giorno viene a contatto con la
malattia, con la vecchiaia e con la morte, e si accorge che il mondo non è solo
un paradiso, ma anche un inferno e che, per quanto ci si possa difendere, prima
o poi tutti veniamo colpiti dalla sofferenza. È un trauma.
Ma questo trauma è vissuto
da tutti quando si esce da un infanzia felice e dalla protezione dei genitori e
si entra nel mondo reale. Allora ci si aprono gli occhi sulla realtà.
Non abbiamo più una rete che
ci protegga, non abbiamo più la difesa dei genitori. E noi stessi dobbiamo
diventare genitori di noi stessi, assumendoci ogni responsabilità e ogni
dolore… pur senza perdere la voglia di vivere.
Non è facile, e molti
ripiegano nell’irrealtà dei sogni illusori, nelle fedi in qualche Dio protettore.
Ma si tratta di regressioni.
L’unica via è costituita
dalla consapevolezza coraggiosa, dalla visione chiara e lucida delle cose, dal
controllo dell’emotività, dalla conoscenza, dalla saggezza.
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