Quando siamo immersi in un sonno profondo, senza sogni, sparisce la
nostra idea di io, spariscono il tempo e lo spazio, spariscono le paure,
spariscono i desideri, sparisce la coscienza ordinaria, sparisce la mente,
sparisce il corpo… eppure ci risvegliamo rinvigoriti e rinfrancati. Anzi, se
siamo feriti o gravemente malati, i medici ci tengono in un coma farmacologico,
perché sanno che l’organismo in queste condizioni è in grado di riprendersi da
sé.
Pochi attimi dopo che siamo svegliati, ritorna la coscienza, ritorna la
mente, ritorna il corpo e subito entriamo in tensione e in sofferenza, e si
riaffacciano tutte e preoccupazioni, le ansie le scontentezze, le
insoddisfazioni.
Dove eravamo quando dormivamo? Perché tali effetti benefici?
In realtà, eravamo rientrati in contatto con noi stessi, con il nostro
sé più profondo, che è pura energia, pace e autoguarigione.
Vivere è tendersi, mentre entrare in contatto con il sé è distendersi, è
trovare pace ed energia.
Tutto questo può essere verificato da ognuno di noi quotidianamente. E
può essere utilizzato per capire che cosa dobbiamo “fare” in meditazione.
Lasciare la presa, lasciare la tensione esistenziale, lasciare l’identificazione
con l’io di superficie, lasciare il tempo e lo spazio, lasciare i desideri o i
rimpianti.
Cerchiamo dunque di far sì che la meditazione sia una specie di sogno
senza sogni. Per un po’, dopo esserci svegliati, cerchiamo di stare il più
possibile in intimità con il sé, lasciando perdere il confinamento e il
distanziamento nell’io con tutti i suoi problemi.
In tal senso, la meditazione è una specie di “morte sperimentale”, una
specie di immersione nella pura consapevolezza del sé. Prima di riprendere i
nostri abiti abituali, prima di indossare di nuovo l’io che ci siamo costruiti
negli anni, prima di riprendere i pensieri e le azioni abituali (che di nuovo
veleranno il sé), sperimentiamo come sia possibile un altro livello di vita,
basato sulla disidentificazione, sulla liberazione, sulla pace.
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