La consapevolezza mentale è semplice consapevolezza di essere – e di
essere qui e ora. Questa consapevolezza non ha bisogno né di concetti né di
dimostrazioni. Non è vero, come diceva Cartesio, che siamo consapevoli perché
pensiamo. Semmai, è il contrario: più pensiamo, meno siamo. Infatti, mentre
pensiamo, ci dimentichiamo di essere, ci allontaniamo dalla fondamentale
consapevolezza di essere.
Sappiamo di essere semplicemente essendolo,
non pensandolo. Anzi, più pensiamo, più cancelliamo la pura consapevolezza di
essere.
La consapevolezza precede il pensare e ogni altra attività mentale.
La presenza mentale è esattamente questo contatto intimo di noi con il
nostro nucleo basilare, la nostra coincidenza con il nostro essere più
profondo. È l’esperienza più intima, priva di mediazioni, che possiamo avere di
noi stessi.
Non è pensare, non è fare; è essere, è il nostro sé.
Questa primaria presenza consapevole, questo sé, non va confuso con l’io
che pensiamo di essere. L’io, in tal
senso, è un’identità secondaria, interpretata e sovrapposta.
In meditazione cerchiamo di stare il più possibile con questa presenza
consapevole, con il nostro sé, andando anche oltre la coscienza dell’io, oltre
il dualismo conoscente-conosciuto.
Tutte le percezioni, le sensazioni, le immagini, i pensieri e gli stati
d’animo vanno e vengono; mentre la nostra presenza consapevole, il nostro sé,
rimane sempre, anche quando la coscienza dell’io fenomenico è offuscata o sospesa,
come per esempio nel sonno. In effetti, nel sonno, continuiamo ad essere
consapevoli, tanto che possiamo sognare. Questo significa che è sempre presente
il soggetto consapevole, non l’ego. L’ego può anche sparire, ma non il sé.
Il sé profondo è anche ciò che ci fa svegliare dal sonno con o senza
sogni, da un’anestesia o da un coma. C’è un testimone che non si assenta mai,
anche quando sembra (all’io dualistico) assente, velato o dimenticato.
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