Viviamo continuamente in un mondo di idee: non solo le idee che abbiamo
sulle cose che identifichiamo e nominiamo, ma anche di quelle che abbiamo su
noi stessi. Per esempio ci crediamo esseri separati che permangono identici da
un’esperienza all’altra, da un’età all’altra – e sono questi esseri separati (i
nostri sé) che abbiamo paura di perdere.
Ma tutto ciò che definiamo – pensieri, emozioni, azioni, processi,
oggetti e soggetti – è innanzitutto un concetto. Ci dà sì il senso della
realtà, ma non ci dice se questa realtà corrisponda davvero a qualcosa che sia
in sé. Anzi, l’analisi ci dice chiaramente che nessuna cosa – compresi noi
stessi – è separabile dalle altre, e che ogni cosa proviene dalle altre.
Allora, non c’è niente che sia rintracciabile oggettivamente?
Sembrano cattive notizie: non possiamo cogliere l’in sé di niente, di
nessuno. E meno che mai di noi stessi.
Ma c’è una buona notizia: anche l’io che riteniamo separato e che – così
concepito – è destinato alla morte – anche tutto questo è un’idea della mente.
Il risveglio, allora, è il riconoscimento del fatto che tutto è
un’apparenza inconsistente, temporanea e cangiante, e che la fine di ogni
concettualizzazione è in realtà la pacificazione.
Niente esiste in sé. Ma questa scoperta non ci atterrisce. Ci libera.
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