Sacrificare la propria vita per gli altri? A patto che fra gli altri ci
siamo anche noi.
Ma perché il senso della vita dovrebbe essere il sacrificio (da sacer, sacro)? Non potrebbe essere la
realizzazione, il vivere appieno?
Dire che il sacrificio è il senso della vita è come prepararci al fatto
che non la realizzeremo o la realizzeremo solo in parte, e quindi ha un sapore
di giustificazione, di consolazione, di sconfitta.
Saremo sconfitti in che senso? Nel senso che non potremo realizzare
tutto quello che vogliamo. I mistici ebraici dicevano che nessun uomo potrà realizzare più del 50 per cento dei suoi desideri.
Anche il mito di Gesù, l’uomo-Dio che si sacrifica per il bene altrui,
ha un sapore, oltre che di violenza, anche di in-attuazione, non-attuazione.
È come se dicessimo: non potremo mai vivere a pieno, dar fondo a tutte
le nostre potenzialità. Attueremo, se siamo fortunati, il 50 o il 60 per cento.
Ma chi può aver fatto un mondo del genere? Un mondo che non dà a nessuno
la possibilità di vivere in pieno, di essere completamente se stesso?
Un Dio di seconda categoria, un Dio scalcagnato.
Figli di un Dio minore.
Un Dio umile, la vita umana è quello che è, viviamo momenti di felicità, in cui intuiamo qualcosa di quella che potrebbe essere una felicità piena, ma la felicità piena eterna sarà solo alla fine dei tempi, come diceva il Cardinale Martini, solo allora capiremo tutto, solo allora ogni lacrima sarà asciugata..
RispondiEliminama veramente credi in quello che scrivi? Sono parole vuote! "la felicità piena eterna sarà solo alla fine dei tempi...": ma che significa? che cosa stai dicendo (ripetendo)? sono parole senza senso. Quale fine dei tempi?!!!
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