venerdì 12 giugno 2015

Il senso del peccato

In meditazione, il peccato non è, come nelle vecchie teologie, una trasgressione di qualche comandamento divino, magari assurdo o incomprensibile, ma un’azione non salutare che provoca danni a se stessi e agli altri.
Dobbiamo essere pragmatici, non assolutisti, e chiederci ogni volta: questa azione aumenta o diminuisce la mia sofferenza, mi fa star meglio o peggio, contribuisce o meno al miglioramento del mondo?
Lo scopo non è quello di servire qualcuno, ma di liberare se stessi dai pesi e dai condizionamenti.
La storia biblica di Dio che chiede ad Abramo di uccidere il figlioletto Isacco o quella di Dio che si accanisce su Giobbe tanto per metterlo alla prova e verificare il suo grado di fedeltà, ecco questo è possibile solo in una cultura in cui Dio viene visto come il Padrone assoluto che può imporre qualunque azione, anche non salutare e riprovevole sul piano morale, e il peccato viene considerato disubbidire a questo ordine, anche se è chiaramente ingiusto.
Il padrone può tutto e tu devi soltanto ubbidire..?
No, tu sei il padrone di te stesso. Non si tratta tanto di ubbidire o disubbidire, ma di porsi un problema e di assumersi una responsabilità.
Non c’è più un riferimento assoluto cui appellarsi. Ma si tratta di guardarsi dentro e di scegliere il meglio per sé e per gli altri, in relazione al grado di sofferenza e di disagio che si può alleviare.
Non ci sono più le tavole della Legge. Per esempio, nel caso dell’omosessualità, non devi domandarti se infrangi un comandamento, ma se il tuo comportamento provoca danni a te stesso e agli altri. È tutto un altro discorso.

In un certo senso, il vecchio Dio con i suoi comandamenti era più comodo: non dovevi porti nessun problema. Adesso sei tu il responsabile. E ti tocca essere più consapevole.

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