La vera via, alla fine, consiste
nell’osservazione di se stessi – prima delle varie attività della mente, poi
della coscienza e infine della consapevolezza. A questo proposito, possiamo
dire che tutti sono coscienti, ma che pochi sono consapevoli. E dobbiamo
aggiungere che la consapevolezza ultima (o prima) non può più essere osservata
come un oggetto qualunque, ma si può solo esserla.
Quando abbiamo un momento libero, quando
abbiamo un momento di tregua, questo è il nostro lavoro interiore. Quando la
mente è ferma, la realtà delle cose ci appare nella sua luce originale, e di
conseguenza avremo una nuova visione del mondo.
Perché è la realtà del modo che va messa
in discussione. Ciò che ci appare vero e solido, è in realtà un’illusione,
un’apparenza, una rappresentazione, una falsa identificazione. La nostra
persona, il nostro io, non è che un insieme di schemi, di abitudini e di
ripetizioni. Ma noi non siamo né il corpo né la mente… e neppure l’io che crediamo
di essere.
Noi siamo oltre.
Noi siamo il testimone, pura
consapevolezza. Il Sé è al di là del corpo, della mente e del mondo. È
indipendente e immutabile. Ricordiamoci dunque chi siamo veramente.
Questo è il messaggio dell’Advaita
Vedanta, chiaro e semplice.
Non è una fede, ma la sua realtà può
essere esperita direttamente qui e adesso.
Gentile Lamparelli,
RispondiEliminaquando scrive di Advaita Vedanta, i suoi riferimenti sono gli autori classici e i testi tradizionali (Govinda, Gaudapada, Shamkara, Upanishad), o i moderni interpreti tipo Tony Parson e Mauro Bergonzi? Grazie...
Ovviamente sia gli antichi che i maestri moderni (per esempio, Nisargadatta e Ramana). Noi non dobbiamo attenerci a nessuna tradizione, ma cercare a nostra volta una nostra via, utilizzando tutto e tutti. Non dimentichiamoci infatti che anche gli antichi hanno fallito nel cambiare la mente umana.
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