Quando pensiamo
alla morte con spavento, riflettiamo sul messaggio della Bhagavad Gita,
il grande poema indiano: "Il saggio non si lamenta né per i vivi né per i
morti". E aggiunge: "Il saggio sa bene che non si può né uccidere né
morire".
Questo significa
che niente nasce e niente muore veramente, ma che tutto si trasforma, e che
l'anima non conosce né la nascita né la morte. "Non ci fu mai un tempo in
cui io, tu e tutti costoro non esistevamo, e mai nessuno di noi cesserà di
esistere".
Chi parla è il
Dio Krishna che cerca di incoraggiare Arjuna, un guerriero recalcitrante, che
ha paura di impegnarsi nella battaglia della vita.
Nascere e morire
vuol dire prendere un nuovo corpo, assumere una nuova forma, così come si
cambia un abito.
"Questi
cambiamenti non turbano chi è coscio della propria natura spirituale."
Disse Hegel:
"Con la Bhagavad Gita possiamo avere una chiara idea di quella che
è la più praticata, ma anche la più alta di tutte le religioni
dell'India".
Anche
Schopenhauer affermò che "si tratta dell'opera più istruttiva e sublime
che esista al mondo."
Non bisogna però
esagerare con gli entusiasmi ed occorre saper leggere questo testo, che ha un’origine
varia.
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