Quando ci innamoriamo, ci pare di riunire due pezzi separati (come nel
mito platonico), ci pare di essere tutt’uno con la persona amata e per un po’
siamo beati.
Ma in verità ogni esperienza è una specie di miracolo d’amore. Nel
momento in cui entriamo in contatto con l’altro, in quel preciso istante non c’è
la distinzione tra soggetto e oggetto, tra chi conosce e ciò che è conosciuto.
Solo quando classificheremo l’esperienza – un attimo dopo -, incominceremo
a fare questa distinzione: “Io conosco quello”.
La conoscenza, però, la possibilità di conoscere qualcosa, è già la
conseguenza di un’unione, di un’intimità, di una comune coappartenenza.
In ogni istante noi siamo un pezzo di essere che è unito ad altro pezzo
di essere. Facciamo sempre l’amore con il mondo.
A posteriori ci sembra di essere un io che conosce un “altro da sé”. Ma
a priori l’io e l’ “altro da sé” erano già uniti, erano un tutt’uno.
Dunque, anziché cercare la pace e la felicità nell’altro, ritroviamo l’esperienza
di coappartenenza con l’altro – che è già amore.
Quando siete in vacanza, in un ambiente che vi ispira, provate a
verificare questa coappartenenza: voi siete un tutt’uno con il mare, il cielo,
la montagna, il lago o la montagna.
Provate a dismettere l’ego che dice: “Io sento, io penso, io godo…”.
Forse non lo sapete, ma si tratta di una piccola esperienza mistica.
Più ti rilassi, più accantoni il tuo io, più puoi amare.
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