Chi sono io? Certamente il testimone di ogni mia esperienza. Io sono le
mie esperienze, in quanto e per quanto ne sono il testimone.
Ma il testimone non è un pensiero tra gli altri, perché, nel momento in
cui ne sono consapevole, lui è consapevole della mia consapevolezza… e così
via. È il testimone ultimo, il soggetto che non può essere fatto oggetto di
conoscenza.
Di che cosa è fatto? Di qualche sostanza raffinata? In realtà, il
testimone, per essere tale, per essere credibile, per avere l’ultima parola,
deve avere le qualità dell’apertura, del vuoto e della trasparenza. Non deve
sovrapporre le proprie interpretazioni; osserva imparzialmente. Per lui,
qualunque esperienza è buona, è utile. È come uno specchio che riflette
qualsiasi immagine senza venirne turbato; è come uno spazio vuoto che non viene
toccato da ciò che gli viene messo dentro.
C’è qualcuno che vorrebbe prendere il suo posto: l’io, la mente. Ma l’io
è un costrutto psicologico e sociale che è dominato da instabilità e paura di
essere cancellato. Vorrebbe sovrapporsi al sé profondo, ma ha le qualità
opposte della chiusura e della opacità – e non può farcela.
Ritorniamo dunque al testimone ultimo. Fermiamo per quanto possibile
corpo e mente, corpo e pensieri, e lasciamo solo essere quello schermo di fondo
su cui vengono proiettate immagini e presunti soggetti.
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