Non possiamo sperimentare
niente che sia al di fuori della coscienza. Tutto ciò di cui abbiamo esperienza
deve passare per la coscienza. Gli input possono essere i più vari (percezioni,
sensazioni, sentimenti, emozioni, idee, pensieri, immagini, suoni, ecc.), ma
tutti devono passare per la coscienza.
Di fatto, la coscienza
coincide con il nostro conoscere, a qualunque livello, da quello più semplice
delle sensazioni a quello più complesso dei concetti.
La coscienza o
consapevolezza è esattamente il nostro campo conoscitivo. Ma, mentre le varie
conoscenze assumono le forme più varie, la nostra presenza consapevole, il sé,
resta il fondamento di tutto, lo schermo che incornicia e contiene tutto ciò
che possiamo conoscere. La coscienza è il testimone che sembra mescolarsi con
le conoscenze, ma che in realtà è il fondamento distaccato.
Al fondamento di qualunque
esperienza e conoscenza si trova perciò la coscienza.
Il problema di questa presenza
consapevole che accompagna come un’ombra ogni conoscenza è che non può essere
fatta oggetto a sua volta di conoscenza. Essendo il soggetto consapevole, se
cerco di conoscerlo, mi sfugge.
Il fatto è che noi siamo questo sé che vorremmo restringere
in categorie conoscitive.
Dobbiamo dunque, più che
cercare di conoscere il sé, cercare di esserlo.
Strano paradosso, dato che
lo siamo sempre e non possiamo non esserlo.
Il problema della
meditazione è tutto qui: cerchiamo di cogliere ciò che non possiamo conoscere
come un oggetto… rimanendo sempre il soggetto.
Qual è la via d’uscita?
Ovviamente, dismettere i tentativi di conoscenza mentale, di indagine
analitica, e ritornare ad essere ciò che siamo. Ecco perché, più che fare
sforzi, dobbiamo smettere di tenderci e di voler conseguire qualcosa.
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