sabato 31 agosto 2019

Un messaggio fondamentale


La vera via, alla fine, consiste nell’osservazione di se stessi – prima delle varie attività della mente, poi della coscienza e infine della consapevolezza. A questo proposito, possiamo dire che tutti sono coscienti, ma che pochi sono consapevoli. E dobbiamo aggiungere che la consapevolezza ultima (o prima) non può più essere osservata come un oggetto qualunque, ma si può solo esserla.
Quando abbiamo un momento libero, quando abbiamo un momento di tregua, questo è il nostro lavoro interiore. Quando la mente è ferma, la realtà delle cose ci appare nella sua luce originale, e di conseguenza avremo una nuova visione del mondo.
Perché è la realtà del modo che va messa in discussione. Ciò che ci appare vero e solido, è in realtà un’illusione, un’apparenza, una rappresentazione, una falsa identificazione. La nostra persona, il nostro io, non è che un insieme di schemi, di abitudini e di ripetizioni. Ma noi non siamo né il corpo né la mente… e neppure l’io che crediamo di essere.
Noi siamo oltre.
Noi siamo il testimone, pura consapevolezza. Il Sé è al di là del corpo, della mente e del mondo. È indipendente e immutabile. Ricordiamoci dunque chi siamo veramente.
Questo è il messaggio dell’Advaita Vedanta, chiaro e semplice.
Non è una fede, ma la sua realtà può essere esperita direttamente qui e adesso.

venerdì 30 agosto 2019

Utilizzare il riposo


Utilizzare il riposo
In tempi di crisi (ma sono sempre tempi di crisi), può sembrare che la meditazione sia una pratica da accantonare, in quanto urgono problemi pratici. Niente di più sbagliato. La nostra società è più ansiogena che mai; e più ti preoccupi più stai male e meno combini.
       La gente non riesce a rilassarsi, questo è il problema.
       La vita, infatti, come la corrente elettrica, ha una propria tensione, che in tempi di crisi può diventare talmente forte da minare il corpo e la mente, facendoci perdere la salute fisica e mentale. Più stress, più tensione; più tensione, meno salute, meno equilibrio, meno lucidità di mente e più problemi.

Riposati: un campo che è rimasto in riposo fornisce un abbondante raccolto
(Ovidio)

       Come fare a uscirne, a riprendere in mano il bandolo della matassa? Riposandosi. Più ci si riposa, più si rafforza la salute psico-fisica. E più si rafforza la salute psico-fisica, più diventiamo lucidi e riusciamo a risolvere i nostri problemi. Ma qui c'è un grosso scoglio. Noi siamo abituati a far tutto con uno sforzo di volontà. Invece, per rilassarsi, bisogna lasciar perdere ogni sforzo.
       Più mi sforzo, più mi stresso. Non posso ottenere lo stato meditativo con uno sforzo di volontà: è un controsenso.
       Com'è possibile allora "volere" il riposo? Sfruttando i cicli vitali (circadiani) che già ci offrono periodi di attivismo alternati a periodi di rilassamento.
       Questo tipo di riposo può non aver niente a che fare con il riposo notturno, in cui la mente (inconscia) rimane comunque in azione con tutte le sue ansie e le sue preoccupazioni.
       Il riposo meditativo di cui parliamo è un sonno senza sogni, un sonno in cui la mente si ferma. Il vuoto della mente, la non-mente, è possibile.

Bisogna conceder riposo alla mente, perché dopo si ritrovi più rinfrancata e vivace
(Lucio Anneo Seneca)


       Dopo ogni pasto, per esempio, ci sono due periodi favorevoli, in cui il corpo e la mente si rilassano. Utilizziamoli fino in fondo. Saltiamo su questa barca che passa e mettiamoci comodi.
       Utilizziamo la stanchezza come un saggio invito della natura, un invito a rilassarci.
       La parola d'ordine dovrebbe essere "lasciar andare", "lasciar cadere". Ma non possiamo lasciar cadere impegnandoci, concentrandoci e sforzando la volontà. Dobbiamo ottenere il riposo senza sforzare la volontà, altrimenti ricadiamo nello stress: questo è il paradosso.
       Nel momento in cui sentiamo che l'organismo psico-fisico tende a rilassarci, non contrastiamolo. Inseriamoci in questo andamento lasciandoci andare ancora di più, rallentando mente e corpo. Può darsi che ci si addormenti per un po'. Va bene anche così. Ci accorgeremo che dormiremo senza sogni, senza immagini, senza pensieri - ecco un esempio di non-mente. Quando ci risveglieremo, saremo più freschi e lucidi di prima, molto più capaci di affrontare le sfide della vita.
       La meditazione deve servire anche alla vita di tutti i giorni, tanto più nei momenti di crisi.
       Però, nel riposo c'è anche la spiritualità. Non si parla, per esempio, di "riposo eterno"? Certo, è la morte, ma una morte in cui ci risvegliamo dal sogno della vita.
       In meditazione, dobbiamo morire a noi stessi. E il sonno senza sogni, il rilassamento è quanto di più vicino ci sia a questo stato.

Solo sedendo e riposando l’anima diventa saggia
(Samuel Beckett)

Taoismo, buddhismo e cristianesimo


Quando il buddhismo arrivò in Cina fu considerato una setta del taoismo. Ma ben presto ci si accorse delle differenze: mentre i taoisti cercavano un corpo immortale, i buddhisti tendevano a liberarsi di tutte le forme corporee; mentre i taoisti riducevano al minimo la respirazione e cercavano di agire sulla circolazione e sulla trasformazione del respiro interiore per ottenere la longevità e l'immortalità, i buddhisti cercavano il controllo della respirazione e il distacco dalle funzioni corporee - e non erano interessati all'immortalità del corpo.
       I taoisti ricorrevano a pratiche alchemiche e a metodi per rafforzare l'energia interiore che avevano lo scopo di rendere il corpo immortale. Una volta ottenuto questo risultato, erano convinti di potersi innalzare fino al cielo e di vivere per sempre.
       Queste idee ci ricordano quelle del cristianesimo, non solo nel mito dell'ascesa al cielo di Gesù, ma anche nella fede sulla resurrezione e dunque sull'immortalità dei corpi.
       San Paolo e i primi cristiani credevano proprio che un bel giorno sarebbe arrivato Gesù e che tutti si sarebbero innalzati al cielo. "Ecco, io vi annuncio un mistero" scrive san Paolo nella prima lettera ai Corinzi: "non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati."
       Naturalmente si tratta di sogni e di miti; ma anche nei miti si trova un fondo di verità. In fondo l'ideale dei taoisti e dei cristiani è quello puerile di tutti gli uomini: non morire mai o, per lo meno, ricuperare un giorno il proprio corpo, reso finalmente incorruttibile e immortale.
       Un bel sogno, non c'è che dire. Rovinato da un particolare: che tutti dobbiamo morire, spesso dopo una vecchiaia che ci distrugge a poco a poco il corpo e la mente. Ma la speranza è l'ultima a morire ed ecco allora l'idea di un corpo almeno spirituale, magari quello che abbiamo avuto intorno ai trent’anni (ma chi è morto prima? e chi ha un corpo deforme?).
       Solo l’Oriente buddhista e vedantico afferma che anche questa è una pretesa infantile e che la liberazione finale è proprio il distacco non  solo dal proprio corpo ma anche dalla propria mente e dal proprio io.
       Morire è ricongiungersi con il tutto, non conservare una propria fetta di individualità.
       Chi avrà visto più lontano?

giovedì 29 agosto 2019

Alla ricerca dell'Incondizionato


L’incondizionato non è una realtà esterna, una specie di Paradiso o di Dio – è semplicemente la Realtà, che non è né esterna (in un posto e in un tempo) né duale. È ciò che è. È ciò che siamo.
Noi siamo l’essere incondizionato, che è beata consapevolezza, ma viviamo – o crediamo di vivere – nella dimensione dello spazio-tempo, della nascita e della morte, del bene e del male, della felicità e dell’infelicità, della materia e della mente, ecc.
Per cercare questa “dimensione” non dobbiamo cercarla lontana, ma proprio dentro di noi.. senza che sia né dentro né fuori. È qualcosa di immobile in una realtà mutevole, è un punto fisso, è il fondamento di tutto. È l’essere.
Che non è essere questo o quello, qua o là, sopra o sotto, viva o morta.
Purtroppo il nostro linguaggio non è in grado di definirlo, perché nasce da un pensiero dualistico. Possiamo solo dire che cosa non è.
Cercare lo stato incondizionato, al di là degli opposti, è la sfida che la consapevolezza pone alla mente. Ma la mente dovrebbe tacere e quindi non è in grado di coglierlo.
All’inizio la strada è rallentare la mente, con tutto il suo condizionamento di concetti dualistici. È tornare indietro dal pensiero razionale verso l’Uno incondizionato. È indagine senza oggetto, perché l’Incondizionato non può essere oggetto. Sarebbe il soggetto, se non facessimo riferimento al dualismo soggetto-oggetto.
È una ricerca che deve giungere prima di ogni esperienza, prima di ogni limitazione, perché la limitazione, l’auto-limitazione definisce solo questo mondo di cui siamo prigionieri, prima dell’io come persona.
Dobbiamo farci semplici testimoni, centri di osservazione che guardano senza farsi condizionare, al di là dello spazio-tempo, della nascita e della morte. Dobbiamo arrivare al senso di essere, senza ulteriori determinazioni, senza idee nella mente.
La tecnica consiste nello svuotarsi, ricettivi e quieti, per scoprire il “luogo” da cui siamo venuti, anzi in cui siamo sempre stati e lo siamo ancora. Come lo scopriamo, ci installiamo.
Se arriviamo a vedere la realtà come un rivestimento o una proiezione illusoria, possiamo arrivare a vedere la luce dietro l’osservatore dello spettacolo.
Dobbiamo addestrarci ad assumere la posizione del testimone che non si fa influenzare da ciò che osserva.

mercoledì 28 agosto 2019

Amare gli altri


A Gesù che predicava: "Ama il prossimo tuo come te stesso" un tizio, che aveva scarsa stima di sé, rispose: "Se amassi il prossimo come me stesso, non gliene verrebbe niente di buono".
            Ecco perché è necessario, prima di tutto, conoscere e stimare se stessi.
            ... E nel caso in cui uno stimi troppo se stesso?
            Be', un narcisista ha un ego così grande che non vede nessun altro oltre a se stesso.

I conservatori


Non ho mai capito la mentalità dei conservatori. Se tutti fossero stati conservatori, vivremmo ancora nelle caverne.
       Indubbiamente, qualcosa va conservato… per quanto si può. Ma osservate la natura: è in continuo mutamento – a breve o a lungo andare non conserva nulla di immutato.
La vita è un divenire, non uno stare fermi.

L'argomento ontologico



Se Dio è l'Essere perfetto, non può non avere l'attributo dell'esistenza: così argomentava sant'Anselmo d'Aosta.
       Ma siamo sicuri che l'esistenza sia il massimo della perfezione, sia cioè il prodotto di una mente perfetta? In tanti casi sembra una cosa improvvisata e abborracciata.
       Se proprio vogliamo usare la logica, il Non-essere precede l'Essere. Il Nulla è perfetto, l'Essere un po' di meno.
Questo argomento della perfezione di Dio è uno dei tanti deliri della mente umana. Come ci è venuto in mente, visto che non corrisponde alla realtà, visto che i prodotti di questo Dio sono spesso difettosi? Certamente è un portato delle vecchie mitologie.

"Poiché Dio ha creato il mondo dal nulla, il nulla vi occupa sempre il posto più alto"
                              Friedrich Hebbel

martedì 27 agosto 2019

Il flusso delle esistenze


Il senso della continuità delle esistenze può far parte delle nostre esperienze se solo consideriamo che ognuno di noi nasce da un flusso di vite che risalgono alla notte dei tempi. Ognuno di noi è qui perché ci sono state tante esistenze prima di lui, perché ci sono state tante "reincarnazioni"... comprese quelle degli animali, degli insetti, dei pesci, dei batteri, eccetera eccetera. Tante forme di vita si sono passate il testimone per giungere qui... a ciascuno di noi. Non sono io che mi sono reincarnato, ma qualcosa si è reincarnato innumerevoli volte per dar vita al mio io, a questo uomo che può dire: "Io sono".
       Nonostante le differenze, ogni essere è un compendio degli esseri che lo hanno preceduto, ogni essere è tutti gli esseri, ogni essere è l'essere - un essere che contiene già in sé la consapevolezza come elemento fondamentale.
       Il karma non è nient'altro che la continuità delle esistenze, una continuità che fa sì che io occupi un posto e non un altro, che io abbia un destino e non un altro.
       Ci sono naturalmente tante linee evolutive, così come in un fiume ci sono tante correnti e tanti mulinelli. Ma tutti fanno parte di un unico flusso d'acqua.
       Quando si dice che il Buddha ottenne, con l'illuminazione, la conoscenza delle vite anteriori, si dice questo. Ma chiunque può ottenerla, solo che ci pensi un attimo.

"Noi non abbiamo troppo intelletto e troppa poca anima, ma troppo poco intelletto nelle cose dell'anima"
                      Robert Musil


Amor omnia vincit


Noi abbiamo un'idea zuccherosa e unilaterale dell'amore: crediamo che si tratti di una forza rivolta al bene, all'unione, all'armonia, alla costruzione, alla tenerezza, alla compassione... E non è sbagliato. Ma è solo la metà di questa immensa forza. Perché esiste anche l'amore per il male, per la divisione, per il contrasto, per la distruzione, per la durezza, per l'egocentrismo...
       Crediamo che la passione per il comando, per il potere, per la supremazia, per il denaro, per la trasgressione, per il sesso sfrenato o "deviato", per il successo, per gli onori, per il rischio, per la violenza, ecc., non sia una delle tante forme dell'amore? Non si parla anche di "amor di sé" o di "libidine del potere"?
       Impariamo dunque a guardare bene, e rivediamo le nostre idee sul bene e sul male. Non tutto il male viene per nuocere e non tutto il bene è buono.

"Se l'amore è la primissima tra le passioni, è perché le blandisce tutte"
                      Honoré de Balzac

La nuova concezione di Dio


L'idea che esista un Dio che se ne sta "in cielo", al di sopra del cosmo, è ancora un vecchio modo di vedere legato alle antiche concezioni pagane degli dei. Il fedele prega Dio credendolo lassù, in alto, al di sopra di sé e del mondo, in un aldilà. L'uomo è "aldiqua" e Dio è "aldilà": tipico dualismo mentale, come se "aldiqua" e "aldilà" fossero separati e distinti. Ma si tratta di due facce di un'unica medaglia, di un dualismo creato dalla mente, la quale, per conoscere, deve dividere e contrapporre.
       Che cosa c'era prima che Dio "creasse" il mondo? Ovviamente, niente. Il Vuoto. Perché lo spazio e il tempo non esistevano.
Non ha senso credere che esistesse un Dio che solo soletto. E, adesso, non esiste un "cielo" al di sopra del mondo, perché non c'è un al di là o un al di fuori del cosmo.
       "Prima" non c'era nulla, ossia c'era il Vuoto. Poi, per un sussulto quantico, è nato l'essere.
       Dio è Energia evolutiva che non è separata dal cosmo, ma che ne è il motore.
       Perfino il mito cristiano lo dice. Dio entra nel mondo per sacrificarsi e morire. Muore nel senso che si scioglie nel mondo; è il cosmo, è l'universo intero, al di fuori del quale non c'è nulla.
       Quindi non ha più senso pregare un Dio in cielo. Alla preghiera va sostituita la meditazione, come capacità di scoprire in sé questa Energia evolutiva, come capacità del "frammento" o della “scintilla” individuale di riscoprire il Tutto, ovvero il Divino che è dappertutto.
       Sollevate una pietra, dice il Vangelo gnostico di Tomaso, e là troverete Dio; spezzate un pezzo di legno, e là è Dio. Più chiaro di così...

lunedì 26 agosto 2019

L'idea di illuminazione


È importante che l’idea di illuminazione entri nelle menti degli uomini, molti dei quali forse non vi hanno mai pensato. È un seme da cui può scaturire un nuovo modo di vedere il mondo.
       È un modo diverso dal pensare che esista o non esista un Dio, e che questa Forza esterna ci premi o ci punisca, ragion per cui il nostro compito sarebbe solo quello di sottometterci e di ubbidire… o di disubbidire.
       Nell’idea di illuminazione c’è il concetto di auto-sviluppo. Siamo noi, che con le nostre forze possiamo crescere e andare avanti attraverso gli strumenti della consapevolezza e dell’osservazione.
       È la nostra personale comprensione che ci premia, non i capricci di un Dio.

Saper vivere


Oggi è una bella giornata. Ma, domani, dicono le previsioni del tempo, tornerà a piovere. Ecco, la saggezza consiste in questo: nell'apprezzare e nel godere la giornata di oggi, senza farsi deprimere dalle previsioni per il domani. Riuscire a vivere sull'orlo del precipizio, pur sapendo che, prima o poi, ci precipiteremo dentro. Nello Zen si parla dell'uomo che, caduto in un precipizio, è rimasto afferrato al ramo di un albero... che viene rosicchiato da due topi, mentre sotto è appostata una tigre. Che cosa fa?... Prende un frutto e se lo mangia... Com'è buono!
       In fondo, non è così tutta la vita?
       Ci troviamo tutti aggrappati sull'orlo di un precipizio e sappiamo che non abbiamo scampo: vi cadremo dentro. Ma, tra questo momento e il momento in cui cadremo, c'è appunto la vita, da esperire, breve o lunga che sia, felice o infelice che sia.

Filosofia e saggezza


Caro filosofo, forse sei capace di pensare. Ma sei capace di non pensare? E non ti rendi conto che tutti i problemi del mondo, compresi quelli della filosofia, derivano da un uso distorto della ragione e, quindi, anche da un suo uso eccessivo?

Il rischio di Dio


Dovremmo smetterla di considerare Dio il Sommo Bene, che se ne sta lassù in cielo. Dio è come l'energia che non è né buona né cattiva, al di là del bene e del male. Il bene e il male riguardano l'uso di questa energia da parte degli esseri umani.
       Ma gli esseri viventi, a loro volta, sono prodotti di questa energia e, quindi, sono ancora Dio che si mette in gioco - un Dio che non sa neppure lui se vincerà o perderà.
       Questa è vera libertà, una libertà che è rischio.
       Il cosmo è una scommessa e nessuno sa chi la vincerà. Non c'è Uno che ha già prestabilito che vincerà il bene. Siamo tutti corresponsabili.
       Nelle vecchie teologie, Dio se ne stava al di fuori del mondo - a giudicare. Ma non c'è nessun "fuori": l'energia creatrice si è dissolta nella creazione. Tutto è Dio. Tutto si evolve, tutto rischia.
       In fondo, uno dei sensi del mito cristiano è quello di un Dio che entra nella creazione e muore, cioè si dissolve.

Le difficoltà dell'amore


Amare una persona che non si conosce o che si conosce poco è relativamente facile. Ma amare una persona che si è conosciuta, nel bene e nel male, nei pregi e nei difetti, è molto più difficile.

domenica 25 agosto 2019

Il teatro dell'assurdo


Poiché il mondo non è che uno spettacolo, la morte non dovrebbe fare paura: sarebbe semplicemente la fine di qualcosa di inconsistente – così la prende il saggio. Poiché la nascita non è che un’apparenza (ma in realtà non c’è né nascita né morte), la morte sarebbe soltanto la fine di un’illusione, la fine di una tragicommedia rappresentata e costituita da immagini, maschere, voci, musiche, ansie, angosce, gioie, chiasso, confusione… Come averne paura?
       Anzi, c’è da augurarsi che finisca presto.
In fondo, quando esci da questo teatro dell’assurdo, ritorni finalmente a casa tua. Hai visto lo spettacolo, ma ora lo spettacolo è finito.
Ma c’è sempre qualcuno che, non pago, vorrebbe che lo spettacolo continuasse, qui o altrove – questo è il punto di vista dell’illuso materialista.

Il "nobile" silenzio


Il Buddha rispondeva a tutte queste domande della filosofia su Dio o sull’anima con un "nobile silenzio". Il che non significa che dicesse: "Che ne so io?", o che si rifiutasse di "dare una risposta"; significa che non voleva cadere nella trappola delle parole e delle idee contrapposte.
       Come se dicesse: se vuoi "pensare" a questi problemi, prima liberati dei preconcetti, prima sgombra la mente dal solito dualismo.
       Non appena ti poni la domanda "esiste o non esiste Dio", sei già nella trappola di chi ha pensato prima di te..
       Se vuoi capire qualcosa di questi problemi, non andare a scartabellare tutte le teologie e le religioni, ma fai prima di tutto il silenzio mentale.
       Ma quando in un paese esiste già una religione, più o meno accettata, tutti continuano a pensare nei termini di vecchie categorie, accettandole o rifiutandole. Troppo poco per poter parlare di Dio.



Esiste Dio?


Da come si formula la domanda, c'è la risposta. Infatti, la domanda "chi ha creato il mondo?" presuppone già che ci sia Qualcuno che lo ha creato o che non lo ha creato. Ma se uno dice anche di non credere in Dio - partendo però dall'idea precostituita di Dio - in realtà crede a un Dio che non c'è, crede che quell’idea di Dio non corrisponda a nulla. Questo è l'ateismo moderno.
       Lo stesso per la domanda "qual è l'origine del mondo?" Presuppone già che ci sia o non ci sia un'Origine. La domanda viene pensata a partire da quell'idea di Origine.
       Così non va bene. Partiamo piuttosto da... nessuna idea preconcetta!
       Siamo capaci di partire da questa posizione? Pensare a partire dal vuoto della mente? Solo in tal modo possiamo formulare una domanda che contempli risposte diverse dal dualismo precedente, cioè non condizionate.
       Siamo capaci di spazzar via, anche per pochi secondi, tutta la filosofia, tutta la teologia, tutta la religione, tutte le idee precedentemente accumulate?
       Se non ne siamo capaci, ci limiteremo a rimasticare vecchie idee, trite e ritrite.
       Questo è successo per esempio nella fisica quantistica e, prima ancora, nel taoismo e in certe correnti del Buddhismo. Si è scoperto infatti che in origine c’è un grande Vuoto, una immensa Vacuità, da cui si origina a un certo punto, non per un intervento divino, l’intero processo creativo.
       Comunque, quanta distanza ci può essere tra le vecchie concezioni di un Dio antropomorfo delle antiche religioni o del cristianesimo (che lo immagina addirittura sotto forma di uomo) e le altre concezioni, antiche e moderne. Tutto sommato, sono più autentiche le idee di chi pensa che di Dio non si possa dire nulla e non si possa immaginare nulla. Tutt’al più si può dire ciò che non è. Questo è già più onesto.

Se Dio è trascendenza, come può essere definito dalle nostre misere parole dualistiche?


sabato 24 agosto 2019

La vera religiosità


Molti pensano che basti credere a qualche fede o a qualche Dio, oppure aderire a qualche religione, per essere religiosi. Noi pensiamo, invece, che per essere religiosi si debba svolgere un lavoro interiore di sviluppo della consapevolezza.
       Senza tale sviluppo, tutte le nostre azioni sono sterili, prive di luce, casuali e non possono essere definite "religiose".
       È questa la differenza fondamentale tra le religioni tradizionali e la nuova spiritualità che va delineandosi nella nostra epoca. Non può esserci un comportamento religioso - e quindi etico - senza uno sviluppo della consapevolezza. È la coscienza, non la fede, l’elemento distintivo.


I livelli di senso


Le parole indicano, le parole ingannano: sono solchi che è difficile non seguire. Ma chi ci dice che incanalino il senso giusto e la quantità di senso giusto? Certo, in principio, corrispondono ad esperienze degli uomini. Ma è probabile che l’umanità non sappia capire la profondità delle esperienze, ridotte poi alla superficie delle parole.
Roland Barthes diceva che “ogni lingua è una classificazione e ogni classificazione è oppressiva… La lingua è fascista… Il fascismo non è costringere qualcuno a tacere: è costringerlo a dire.”
In generale, ha poco senso dire che capiamo il senso delle parole o delle esperienze. Dobbiamo aggiungere il quanto. Quanto comprendiamo? A che livello?
Purtroppo noi viviamo nel mondo della superficialità. Non ci rendiamo conto che un uomo veramente profondo non è uno che appare tutti i giorni in televisione, ma uno sprofonda in se stesso alla ricerca di nuovi livelli di senso. Anzi, quanto più uno ha facilità di parole, tanto più si affida alle convenzioni e agli automatismi del vocabolario, della grammatica e della sintassi.
Il linguaggio è una grande trappola. Dà l’illusione di conoscere facendoci credere che sotto la superficie non ci sia più niente. Come se pensassimo che sotto la materia non ci fosse un mondo di particelle invisibili.
Il tutto è aggravato dal dualismo, per cui la mente non può pensare se non per contrapposizioni… perdendo il senso dell’intero.
Ancora una volta viviamo alla superficie delle cose, sballottati da un senso all’altro, senza capire nulla di sostanziale.


venerdì 23 agosto 2019

Religione e razzismo


Forse vi meraviglierete che certi politici di destra, certi gruppi razzisti o certe organizzazioni nazi-fasciste utilizzino simboli religiosi, magari cristiani. Eppure il razzismo, oltre ad avere un'origine naturale, istintiva, ha un'origine culturale. Per esempio, il teologo cristiano Origene, considerato un Padre della Chiesa,  affermò per primo che la pelle nera era associata al peccato. E questo permise ai devoti cristiani di giustificare non solo il razzismo e il colonialismo, ma anche la lucrosa tratta degli schiavi.
       Naturalmente Origene (secondo secolo d.C.) non era una grande mente. Era quello che era convinto che la sessualità fosse peccato, al punto che si evirò per evitare ogni tentazione.
       Se questi furono i Padri della Chiesa, figuriamoci i figli.

Per uno sviluppo della consapevolezza


I criminali nazisti si sono sempre difesi sostenendo di "aver obbedito agli ordini". E con ciò si mettono la coscienza a posto.
       Il problema è che la coscienza di tanta gente è sottosviluppata, soffocata, addormentata. Infatti il nostro sistema educativo, con i suoi appelli all'autorità, alla fede, alle gerarchie e alla ragion di Stato, non permette di sviluppare una coscienza matura, una coscienza consapevole. Basti guardare le maggiori religioni: tutte sottolineano la sottomissione e l'ubbidienza.
       Diciamo allora con chiarezza che non esiste né religione né spiritualità senza sviluppo della consapevolezza. L'uomo che non s'interroga, che non si pone mai il problema della giustezza di un ordine o di un insegnamento, è pronto a compiere ogni nefandezza.
       Abbiamo allevato automi, non uomini.
       Risvegliarsi è risvegliarsi alla consapevolezza. Naturalmente essere consapevoli significa sottoporre a giudizio anche la nostra stessa coscienza, che non solo può sbagliare, ma è anche influenzata da mille condizionamenti. Tutti infatti sono coscienti (anche gli animali e le piante), ma non tutti sono consapevoli.
       Siamo molto lontani da una semplice fede in un Dio o in un credo. Non si tratta di fare il tifo per Qualcuno o di schierarsi: il Paradiso bisogna conquistarselo con un po' di sforzo personale.

Tradimenti


Quando incontriamo una persona per la prima volta, ci sembra di vederla così com'è. Ma in realtà vediamo più che altro i nostri pregiudizi, i nostri preconcetti, i nostri criteri di conoscenza - e quindi noi stessi proiettati negli altri.
       Quando, poi, questa persona si rivela diversa dall'idea che ce ne eravamo fatti, ci sentiamo traditi. Però, non è lei che ha tradito noi, ma noi che ci siamo "traditi" - nel doppio senso di aver ingannato noi stessi e di aver rivelato qualcosa di noi stessi. Siamo noi che abbiamo visto in modo sbagliato.
       Per capire qualcosa degli altri, dobbiamo capire innanzitutto noi stessi - i nostri criteri di giudizio - e poi accostarci ad essi con la mente sgombra il più possibile di pregiudizi, o almeno consapevole dei suoi stessi pregiudizi. Insomma, dobbiamo svuotare il più possibile la mente e guardare tutto con occhi freschi.

giovedì 22 agosto 2019

La vera libertà di coscienza


Adesso che anche il Papa ne parla (a sproposito), si crede che la "libertà di coscienza" sia un prodotto del cristianesimo. Niente di più falso. La Chiesa ha sempre condannato la libertà di coscienza e ha sempre affermato che il fedele deve semplicemente seguire il magistero ecclesiastico. Il concetto di "libertà di coscienza" nasce contro la Chiesa, ad opera degli Illuministi, i quali ancora oggi ispirano odio ai fedeli cristiani.
            Mai in nessuna epoca il cristianesimo è stato favorevole alla libertà di coscienza dei credenti. Potremmo citare le dichiarazioni in tal senso di molti Papi. La Chiesa è una dittatura, che non ama né la democrazia né il libero pensiero, e che si trova a suo agio in tutti i regimi totalitari (basta che si dichiarino "cristiani"!)
            D'altronde, la coscienza è qualcosa di individuale e non è un criterio di verità: ognuno la può pensare in un modo diverso. Ma è proprio questa diversità di pensiero che le fedi non possono accettare. Io, in tutta coscienza, posso credere che Gesù sia un impostore: lo accetterebbe la Chiesa? Rispetterebbe la mia opinione? E se parlassi nello stesso modo di Maometto, lo accetterebbe l'Islam?
            Ancora oggi, la Chiesa permette i funerali religiosi a un criminale nazista, ma non a un Welby, ossia a un uomo che ha esercitato la sua libertà di coscienza e ha scelto di morire con dignità.
            "Libertà di coscienza" non significa credere e seguire qualunque idea ci salti in testa, ma riuscire a fare un esame di coscienza a tutto, anche alle nostre convinzioni. E questo è un concetto del tutto estraneo ai fedeli delle varie religioni.

La delusione d'amore


Tutti sappiamo in quali disastri finiscano tanti matrimoni. L'amore dura un po' e poi si trasforma in delusione e sofferenza. Perché? Perché noi avevamo la pretesa che quella relazione ci assicurasse conforto, sicurezza e felicità, e che ci facesse uscire da uno stato di solitudine o di insoddisfazione. Avevamo la pretesa che l'altro fosse fatto in un certo modo e che ci aiutasse e si prendesse cura di noi in un certo modo. Ma quando poi il partner non ha risposto a queste aspettative e si rivelato diverso dalla fantasia che ci eravamo fatti, ecco la delusione.
            Anche se non sorgessero contrasti nella coppia, ci sarebbe comunque la delusione. Perché ci si accorgerebbe che non è possibile raggiungere la fusione agognata nella fase di innamoramento, che ognuno resta desolatamente isolato.
            In realtà, nessun altro è in grado di darci quella sicurezza, quella serenità e quell'equilibrio che ognuno di noi deve conquistarsi da solo. Aspettarsi che sia un altro ad assicurarci l'equilibrio o la felicità di stare al mondo significa partire con il piede sbagliato.
            Se la nostra felicità derivasse da un altro, in un attimo potrebbe essere distrutta. Se invece ci assicuriamo la serenità compiendo un lavoro su di noi, chi ce la potrà portar via?
            Se il problema è nostro, è un'utopia credere che possa essere risolto da un'altra persona.
            Dobbiamo affrontare e risolvere da soli, con un'osservazione continua, le nostre paure e le nostre insicurezze fondamentali, il nostro dolore non risanato.

Il peso dell'ignoranza


In Oriente si dice che l'ignoranza è la radice di ogni male. E hanno ragione. Se applichiamo questo parametro all'Italia, scopriamo che i nostri peggiori mali derivano dall'ignoranza. Infatti avere scarse competenze linguistiche e scientifiche significa non riuscire a capire il filo di un discorso un po' articolato e quindi non riuscire a valutare chi si ha di fronte, significa farsi raggirare da chi ha più conoscenze e le usa per imbrogliarci, significa votare per il primo affabulatore che si affacci sulla scena politica, significa affidarsi a leader corrotti, significa seguire come pecore religioni infondate e sfruttatrici, significa non avere un'etica sociale, significa dipendere sempre dagli altri, significa non apprezzare la cultura e l'arte, significa essere conservatore e tradizionalista, significa essere chiuso ai cambiamenti, significa doversi adattare a lavori umili, significa non avere un'opinione propria, significa non riuscire a calcolare quanto ci costi la corruzione o l'evasione delle tasse, significa non essere curiosi di sapere, significa non essere sensibili, significa dare importanza a cose senza valore e non dare importanza alle cose fondamentali.
       Quest’ultima è l’ignoranza spirituale che soffoca l’anima.
       In sostanza, essere ignoranti significa vivere in una condizione di subalternità e di minorità.
       E significa non capire niente di quanto ho appena scritto. Sì, perché l'ignorante non può essere consapevole di ciò che si perde.
       Esistono vari livelli di ignoranza. Il primo è quello del semi-analfabeta che non legge mai un libro o un giornale. Il secondo è quello dei soggetti mediamente acculturati, che hanno un ego roccioso, una voce tonante e sono duri d'orecchio. Il terzo è quello delle persone di cultura che si mettono al servizio dei potenti reazionari per raggirare il popolino ignorante. E il quarto è quello dei religiosi che vogliono fare credere di avere la "verità rivelata".
      
       "L'ignorante non è solo zavorra, ma pericolo della nave sociale"
                              Cesare Cantù

mercoledì 21 agosto 2019

Essere autenticamente buoni


Fare cose buone, fare del bene, significa essere buoni? Bisogna vedere le motivazioni: possono esserci motivazioni indegne, per esempio fare del bene per essere considerati buoni o per ricevere l'approvazione degli altri. Più sottile ancora è il desiderio di autostima: facendo del bene aumenta la stima che ho di me stesso.
       Abbiamo bisogno di essere considerati o di considerarci generosi? Abbiamo bisogno di non sentirci in colpa? Abbiamo bisogno di volere che gli altri dipendano dal nostro aiuto? Abbiamo bisogno di crederci importanti o potenti? Lo facciamo per "senso del dovere"? Lo facciamo per motivi religiosi, ossia per ricevere la benedizione del Padreterno e per garantirci magari un buon posto nell'aldilà?
       È chiaro che tutte queste motivazioni non sono per niente altruistiche e continuano a girare intorno al nostro egocentrismo.
       Insomma, è davvero difficile essere buoni spontaneamente, senza secondi fini... più o meno egoistici. Purtroppo, la maggior parte di noi non ha abbastanza consapevolezza per rendersene conto.
       Il problema non era affatto sfuggito a Gesù, che lancia terribili invettive contro gli ipocriti che fanno del bene per "farsi vedere", per ostentare la propria ricchezza e la propria "bontà".
       Manca però in Gesù il concetto di consapevolezza, piuttosto estraneo all'intera religione giudaica. E, quindi, pur condannando gli ipocriti e gli esibizionisti, non è in grado di invitare i suoi seguaci a fare un esame di coscienza.
       Tutt'altra cosa è la cultura buddhista, ben più sviluppata spiritualmente e psicologicamente, che infatti prevede che ognuno sappia esaminare prima di tutto le motivazioni delle proprie azioni. Perché, senza consapevolezza, parlare di bontà è un'impresa impossibile.


Aiutare gli altri


Se vuoi essere di aiuto agli altri, sii te stesso.
Non puoi dare quello che non hai perché non sei te stesso. Se non sei te stesso, sei finto. Se ti imponi una bontà che non senti, potrai anche dare un aiuto materiale, ma non darai l’aiuto essenziale.
Il dolore non può essere eliminato in chi vive in un mondo di distinzioni, di separazioni, di contrapposizioni, di artifici, di finzioni e di convenzioni; in chi è diviso in se stesso; in chi non ha trovato la propria autenticità.
Se un uomo soffre perché vive in un incubo, l’aiuto decisivo non consiste nel cercare di fargli sognare qualcosa di piacevole, ma nello svegliarlo.
Non puoi cancellare la sofferenza cercando di prolungare un po’ il piacere. La dimensione della vera felicità si trova al di là sia del piacere sia del dolore. Lì sei libero, lì non dipendi più da niente, e nessuno potrà toglierti nulla.
Per installarti su quel piano, devi smettere di pensare e di proiettare un mondo dualistico, il mondo in cui vivi.

martedì 20 agosto 2019

Una specie di paradiso


Tutti siamo convinti che ciò in cui ci troviamo sia la vita e che la morte sia la sua fine. Dove c’è l’una non c’è l’altra. Ma qualche grande anima mette in dubbio la nostra certezza, sostenendo che solo la morte possa portarci alla vita vera.
Per trovare il vero essere dobbiamo morire al mondo. E dunque nascere sarebbe morire e morire sarebbe accedere alla vita. È una sovversione totale delle nostre convinzioni.
Ma come mai siamo finiti in questa finta vita, in questa vita inferiore? Siamo decaduti, come dicono certe religioni o stiamo progredendo da uno stadio all’altro, da dimensioni inferiori di vita a dimensioni superiori?
In parole più semplici, noi ora saremmo in una specie di purgatorio e solo con la morte raggiungeremmo una specie di paradiso… o torneremmo ancora più indietro, come nel gioco dell’oca.
Oppure tutto ciò non è che una rappresentazione della nostra mente?
La mente creerebbe tutte queste distinzioni, finché non trovasse la pace.

La pace della mente


“Io sono la via, la verità, la pace, il silenzio… io sono Dio” Alcuni mistici, di diverse le religioni, arrivano a pronunciare queste frasi. Ma l’ “io” cui si riferiscono non è quello delimitato da un corpo, da una mente e da una storia. Non è quello nato un certo giorno sul pianeta Terra.
È l’io eterno. L’io che non si identifica né con questo né con quello, ma l’essere stesso, ossia quell’essere che è al di là del dualismo essere/non-essere e che non può essere pensato né definito. È ciò che sta prima, a priori, e che non nasce e non muore.
Solo quell’io è veramente in pace, quando la mente smette di lavorare.
Quasi tutti cerchiamo la pace della mente. Ma è difficile trovarla, perché la mente è proprio ciò che non è mai in pace. Mente significa irrequietezza, pensieri, preoccupazioni, ansia, desideri… senza pace. In realtà ciò che noi chiamiamo pace è l’assenza di disturbi.
Ora, ci sono certamente momenti di tregua. Ma durano poco… e solo quando ci liberiamo delle instancabili attività della mente.

lunedì 19 agosto 2019

L'inno della creazione


Fra tutti i testi antichi che descrivono la creazione, attribuendola a questo o a quel Dio, spicca per originalità e modernità l’inno del Rigveda (X,129), il documento letterario più antico dell’India e dei popoli indoeuropei, che sembra anticipare temi che solo la scienza odierna ha messo il luce. In particolare viene delineato un vuoto cosmico dove non c’è distinzione fra l’essere e il non-essere, dove tutto è oscurità. Tutto è “ondeggiamento indistinto”, cioè una specie di caos dal quale emerge, per “forza propria”, “mediante il potere del proprio calore” (tapas), l’Uno, in cui sorge il desiderio (kama) di generare.
L’Universo si crea da solo nel vuoto e dà origine a principi contrapposti (maschili e femminili). E solo in seguito nasceranno gli dèi.
Ma tutto ciò non viene presentato come una verità rivelata. L’inno termina con punti interrogativi – chi può veramente sapere come avvenne la creazione? Forse neppure Dio lo sa.
Quanto è differente questo inno dalle due genesi bibliche e da tutti i miti cosmogonici dove sono gli dèi a dare inizio al processo. No, prima c’era un grande vuoto. Solo i grandi saggi che riflettono nella propria interiorità riescono a intuire brandelli di verità.

Allora non vi era né l'esistente, né il non-esistente.
Non vi era aria, né il cielo che è al di sopra.
Che cosa si muoveva? Dove? Sotto la protezione di chi?
Che cos’era l'acqua, insondabile, profonda?

Allora non vi era né la morte né l'immortalità.
Non vi era segno della notte, né nel giorno.
Quell’Uno respirava, senza produrre vento, per propria forza.
Oltre ad esso non vi era nient'altro.

In principio vi era oscurità ricoperta da oscurità;
e tutto era ondeggiamento indistinto.
Ciò che era vuoto circondato da vuoto generò se stesso
come l’Uno,mediante il potere del proprio calore.

In principio il desiderio si fece strada in esso,
il che fu il primo seme della mente.
I saggi che cercavano nei loro cuori con riflessione
scoprirono il legame dell'esistente con il non-esistente.

Tesero trasversalmente la loro corda:
che cosa c'era sotto e che cosa c'era sopra?
C'erano fecondatori (maschili), c'erano potenze (femminili);
sotto lo stimolo, sopra l’appagamento.

Chi lo sa veramente? Chi può qui spiegare
da dove è stata prodotta, da dove venne la creazione?
Gli Dei apparvero successivamente alla creazione di questo universo:
chi sa allora da dove essa sia sorta?

Da dove questa creazione sia sorta,
se un Dio l’abbia fondata oppure no:
lui che la sorveglia nel più alto dei cieli,
lui solo lo sa, o forse neppure lui.


domenica 18 agosto 2019

Uscire dal sogno


La meditazione è difficile perché è come cercare di diventare consapevoli mentre si sogna. Non so se siete mai riusciti a diventare consapevoli di stare sognando. Può capitare per qualche istante; e si prova una grande gioia. Ma poi ci si sveglia.
       Poiché la vita è una specie di sogno, anche meditare significa diventare consapevoli mentre si sta facendo questo particolare sogno.
       Anche qui si prova una grande gioia. Ma poi ci si sveglia... cioè, ci si rimette a dormire.
       Per diventare consapevoli in un sogno, dobbiamo avere un soprassalto di coscienza, un ricordo improvviso: ci dobbiamo ricordare che stiamo sognando. (D'altronde, non era Platone che diceva che conoscere è ricordare?)
       Dunque, dobbiamo ricordare che viviamo in un sogno. Ma come si stimola questo ricordo? Ecco il problema. Che cosa ci fa ricordare durante un sogno che stiamo sognando? Se si trattasse di semplice volontà conscia sarebbe facile. Ma nel sogno  noi siamo immersi in uno stato inconscio; non siamo più noi che comandiamo il gioco.
       È un po' come nella psicoanalisi. Dobbiamo cercare di ricordare fatti ed esperienze che sono piombati nell'inconscio. Ma non basta utilizzare la mente conscia. Dobbiamo utilizzare la non-mente. Dobbiamo diventare attenti osservatori e cogliere ogni manifestazione, ogni sintomo, ogni lapsus, ogni emersione del materiale inconscio. Questo dobbiamo fare anche in meditazione. Ricordare ciò che è stato dimenticato ed occultato. 
       La situazione è questa: ci troviamo all'interno di un sogno, ma non riusciamo a rendercene conto, se non per pochi istanti. Dobbiamo attivare un ricordo sepolto, e renderlo stabile.
           
"Il fatto è che siamo tutti capaci di credere in cose che sappiamo non essere vere, e poi, quando alla fine viene dimostrato che sono sbagliate, distorciamo spudoratamente i fatti per dimostrare che avevamo ragione" George Orwell.

Hypotheses non fingo ("non invento ipotesi", Isaac Newton)


Il ricorso a una figura mitologica (Dio) per spiegare l’origine del mondo è stata chiaramente smentita dalla fisica moderna, la quale ha dimostrato che all’inizio si trova un immenso vuoto, da cui emerge una fluttuazione quantistica che dà origine all’universo. Non c’è dunque bisogno di un Creatore primo, tanto più che il cosmo ha evidenti difetti che sarebbero inspiegabili nell’ipotesi di un Dio perfetto.
Il mondo si è fatto da sé ed ha bisogno di un osservatore, ossia di essere cosciente.
Questa stessa consapevolezza assume semmai le caratteristiche di un Dio emergente, che si costruisce un po’ alla volta, tra mille errori e esperimenti.
Poiché questa consapevolezza è presente in noi, spetta agli esseri coscienti il compito di assumere la guida dell’evoluzione, in modo da renderla meno feroce e distruttiva.
E, dato che all’origine c’è un vuoto, è necessario che gli esseri coscienti sappiano fare il vuoto dentro di sé per ritornare allo stato di “legno grezzo”, capace di assumere le più diverse configurazioni. Questo è il nostro compito.


sabato 17 agosto 2019

Logos e caos


Logos e caos, ordine e disordine sono la logica entro cui si evolve il mondo. Bene e male sono le due facce di una stessa medaglia: come non vederlo? Non c'è bene dal quale non nasca male e non c'è male dal quale non nasca bene.
       Non si può ingenuamente credere che alla fine il bene trionferà sul male. Il processo, la dinamica, il motore del cosmo è come un pendolo: se va a sinistra è perché dopo andrà a destra, e viceversa. Ma non possiamo fermare il pendolo o farlo pendere solo a sinistra o a destra, come ci piace.
       Non si tratta di essere seguaci di Nietzsche o di Lao-tzu. Si tratta di guardare in faccia la realtà.
       Il problema è che, con al nostra mente dualistica, non abbiamo la capacità di esprimere la complementarità degli opposti. Dovremmo dire il bene-male o l'amore-odio.
       Nelle nostre società, noi dobbiamo perseguire il cosiddetto bene, ma non ci dobbiamo illudere che sia definito in maniera incontrovertibile e che possa vincere. Non può vincere... pena la distruzione del mondo. Il bene non trionferà mai. Però consoliamoci: nemmeno il male. Se si persegue uno, si persegue anche l'altro.
       Questa è la dinamica voluta da ciò che ha costituito il cosmo. In Oriente, nell'induismo, si parla di "gioco di Dio", lila.
       Il gioco terminerà solo con la fine dell'Universo.
       Non c'è bisogno di fondare nessuna etica. L'etica è già fondata di per sé, ma è ambigua, ambivalente, instabile, dinamica, come tutto su questa Terra. In un mondo in cui per vivere bisogna uccidere altri esseri viventi, è un’etica poco etica, non moralistica.





L'identità profonda


Chi perde il lavoro ha la sensazione di perdere la propria identità sociale. E spesso cade in depressione o si suicida.
Ma dovremmo ricordarci che, al di là dell’identità sociale, esiste un’identità più profonda che non dipende dai riconoscimenti altrui.
Non siamo solo ciò che facciamo o il ruolo sociale che svolgiamo. Noi siamo ciò che siamo, ben al di là del lavoro, dei rapporti familiari e perfino del corpo e della mente.
Quando perdiamo tutte questi rivestimenti, possiamo scoprire ciò che veramente siamo. Non tutto il male viene per nuocere.

venerdì 16 agosto 2019

Gli infidi cortigiani


Quando assistiamo a un brutto spettacolo, la soluzione è alzarsi, andarsene e cercarne uno migliore.
Ma il dramma è che ci sono molti che ci lodano quello spettacolo e noi ci facciamo convincere. Non avendo facoltà critiche, ci abituiamo al brutto e crediamo che non ci sia niente di meglio. Così restiamo inchiodati a quelle poltrone.
Chi ci rovina sono proprio i lodatori, i cantori, gli ottimisti, i fedeli, i cuorcontenti, i mediatori, gli interpreti interessati… al servizio del padrone del teatro.
Dobbiamo imparare a giudicare da soli.

Liberarsi dai protettori


Se “non cade foglia che Dio non voglia”, cercare protezione in questo Potente individuo è come cercare protezione dal grande mafioso che ha creato le condizioni per cui abbiamo cercato la protezione. Come dire, una banda di mafiosi mi tiranneggia, ma poi mi propone la sua protezione. Basta che paghi e mi assoggetti.
Protezione da che cosa? Dal male che essi stessi mi facevano. Ma, così facendo, sostituiamo ad un danno con un altro danno.
Così è cercare protezione dal grande mafioso.
Meglio, molto meglio, lottare per liberarsi. Non accettare il dominio esterno di qualcuno.

La trasformazione infinita


“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”: questa legge della meccanica classica è anche la legge del divenire. Il che significa che non c’è inizio e non c’è fine, ma un passaggio continuo da uno stato all’altro. Noi siamo qui perché i nostri genitori ci hanno messo al mondo, perché anche loro sono stati messi al mondo da altri genitori, i quali a loro volta… possiamo andare indietro fino ad Adamo ed Eva, e poi raggiungere le scimmie, e poi gli anfibi, i pesci… i primi vertebrati, le prime cellule, i primi costituenti, e così via fino al grande ma fecondo vuoto da cui proviene tutto, senza inizio e senza tempo.
Quindi tutto ci autorizza ad andare avanti passando da una trasformazione all’altra. Perché mai le trasformazioni dovrebbero essere finite? Usciamo dal senza tempo e procediamo fino all’infinito. La legge resta sempre valida. Muore questa o quella vita, questa o quella configurazione, ma il nostro divenire non si ferma certo qui.
Se non ci identifichiamo troppo con “nome e forma”, andremo avanti sotto altre forme e nomi. La vita è infinita per chi sa distaccarsi. Cambiamo solo il vestito.
E non c’è bisogno di nessun creatore primo. Il tutto si crea accadendo.

giovedì 15 agosto 2019

Il vero amore


Il vero amore dovrebbe consistere nel considerare gli altri non separati da noi. Dovremmo essere capaci di vedere negli altri noi stessi e noi stessi negli altri.
Ma anche qui dovrebbe trattarsi di un percepire e sentire, non di un semplice pensare. Dovrebbe essere una sorta di immedesimazione, uno scoprire che siamo un tutt’uno.
Il che significa che quasi nessuno prova il vero amore.
Noi viviamo nel mondo delle separazioni e delle distinzioni.
Noi viviamo nel mondo delle chiacchiere.
Il vero amore dovrebbe consistere nel liberarsi dell’idolatria del proprio ego.

Per esempio, tutti questi buffoni di politici che dicono di fare quello che fanno per amore del popolo. Ma c’è qualcuno che riesca a liberarsi del proprio ego e delle proprie ambizioni personali? Presentatemene uno e lo voterò.

La vera conoscenza


Puoi conoscere Platone e Kant e non sapere ancora nulla. Puoi avere in testa Gesù e Buddha e non capire ancora nulla. Puoi conoscere le leggi della fisica e della chimica e non sapere ancora nulla. Puoi conoscere Freud e Jung e non sapere ancora nulla. Puoi aver letto tutti i libri del mondo e non sapere ancora nulla. Come mai?
La vera conoscenza di cui parliamo, la conoscenza spirituale, non è un insieme di nozioni e di concetti, non è un sapere intellettuale, ma è qualcosa che si sperimenta e si vive.
Capisci la differenza tra capire mentalmente e sperimentare concretamente?

“Che cos’è il mare?” domandò un pesce ad una tartaruga. “Io vedo scogli, altri pesci, alghe, acqua… ma non vedo il mare.”
“Per forza” gli rispose la tartaruga. “Ci sei dentro! E non puoi vedere ciò di cui sei una minima parte. Tu vedi i dettagli, ma non sei capace di vedere il tutto.”
“Come devo fare allora a vedere il tutto?”
“Dimenticati di te stesso e di tutti i particolari. Smetti di identificarti con questo o con quello. Smetti di identificarti! Esci fuori dal tuo piccolo ego.”

mercoledì 14 agosto 2019

Homo homini lupus


Le tragedie degli immigrati (e lo scenario di sfruttamento e schiavismo che ne traspare) ci dicono chiaramente che l'uomo è l'animale più feroce che esista sulla terra. E ci confermano che nessun Dio può redimere questo mondo.
       Solo l'uomo che acquista consapevolezza della violenza con cui e su cui è stato costruito questo universo (da chi... se non da Dio?) può cambiare qualcosa. Ma gli istinti predatori di fondo, voluti dalla natura-Dio, sono presenti in tutti noi.
       Qualcuno può obiettare che anche le tendenze etiche derivano da una natura divina. Ed è vero. Però non si può affermare che Dio sia solo la parte buona. Il cosmo, con la sua ambivalenza, è il suo marchio, la sua espressione, il suo volto.
Per uscire dal dualismo o dall’unilateralismo, è necessario mettere in campo tutta la nostra capacità di auto-osservazione e di consapevolezza.
Dobbiamo correggere una creazione partita con un’enorme carica di violenza.