Come dice il Sutra del Diamante è necessario vedere il mondo come un’ombra, un
sogno, una bolla sull’acqua, un lampo in una nube, una luce baluginante o una
stella all’alba, insomma non come qualcosa di solido e permanente, ma come una
manifestazione temporanea e insostanziale, una spettacolo che dura poco, che
svanisce rapidamente.
Non si tratta di forzare la visione o
di imporci una costruzione filosofico-religiosa. Si tratta di riconoscere ciò
che è inoppugnabile, ossia che tutto cambia, tutto è interconnesso e tutto
finisce o si trasforma.
È importante non cullarsi in illusioni
e non aderire a concezioni precostituite, ma investigare seriamente e in prima
persona.
Lo scopo non è quello di spaventarsi,
né di considerarsi “figli di Dio”, né di abbracciare punti di vista estremi:
tutto è eterno, tutto è nulla.
Vedere con chiarezza la nostra
realtà, senza esaltarci e senza abbatterci, ci permette di considerare noi stessi
creature effimere che devono star qui un po’ di tempo e poi andarsene, e ci
consente di sradicare la presunzione di essere un io per cui tutto è stato
fatto e che tutto deve dirigere.
In realtà la nostra presenza –
verificabile attraverso la nostra stessa presenza mentale o consapevolezza –
dipende dall’intero contesto: è condizionata e può a sua volta condizionare. È preziosa, ma anche enormemente
piccola.
Non dobbiamo neppure considerarci soggetti
che percepiscono e conoscono oggetti che sono posti di fronte e che sono distaccati.
Tutto è interconnesso e tutto è un intrecciarsi di processi. Fra questi
processi ci sono le nostre percezioni e i nostri pensieri, da cui poi la nostra
mente estrapola soggetti e oggetti.
È questa revisione della consistenza e
dello statuto del nostro io che cambia l’intero scenario, ci fa uscire da
vecchie concezioni metafisiche, ci libera da un’identificazione troppo stretta
con ciò che viviamo e ci apre la porta alla liberazione.
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