Parlare di meditazione è difficile
perché in genere c’è scarsa consapevolezza di sé o una consapevolezza sbagliata
di sé. Il senso dell’io è già solidificato e ogni attività (materiale e
mentale) è rivolta all’esterno.
La prima mossa da fare sarebbe dunque
una conversione dell’attenzione, dal
fuori al dentro. Ma, per farlo, è necessario aver presente l’importanza di
questa operazione; e i più non ne vedono l’utilità: possono continuare a vivere
senza mai prender coscienza di sé.
Anzi, si fa di tutto per non tornare
a sé. Le distrazioni, gli svaghi, i passatempi e i divertimenti - il cui scopo
è impedire ogni forma di introspezione, ogni contatto con sé - sono infiniti.
Il risultato è che le persone sono spesso estranee a se stesse, non sanno chi
sono.
I più colti hanno magari qualche
nozione di psicologia o di psicoanalisi, ma raramente la applicano a sé. E
anche quando si ricorre all’analisi presso i terapeuti o all’autoanalisi, lo si
fa per difendere o curare il proprio senso di sé, che è stato ferito.
Quando si ricorre alla meditazione di
origine orientale, l’intenzione è quasi sempre la stessa: rafforzare il proprio
senso di sé. Infatti, la perdita o l’indebolimento della propria identità è
considerata la peggior iattura.
Quando poi si deve affrontare la
morte, ecco che ritorna l’idea di salvare il proprio ego, magari sotto forma
spirituale. E si immaginano paradisi o divinità che garantiscano questa
salvezza.
Ma, intanto, la nostra morte è
sicura. Ed è evidente che coinvolge la distruzione sia del corpo sia della
coscienza.
Allora bisogna riconsiderare l’intera
materia. La lezione della morte ci dice che, prima o poi, bisogna liberarsi di
tutto, anche a livello psicologico. Più che difendere il proprio sé, sarebbe
meglio prepararsi ad abbandonarlo. A cominciare in primo luogo dall’importanza
che attribuiamo al nostro io.
Non si tratta di cadere nel
nichilismo (tutto finisce nel nulla), ma neppure nell’eternalismo: il nostro sé
è immortale ed eterno.
Teniamo conto che si tratta di
concetti della mente – di una mente che sparirà. Se dunque vogliamo tenere i
piedi per terra, ricorriamo al buon vecchio metodo della sana meditazione: sospendere
il dualismo mentale e rimanere in contatto con la realtà così com’è, senza
interpretazioni né voli mentali.
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