Nelle nostre società, fuggire la noia
sembra un imperativo categorico. Rimanere qualche minuto o qualche ora senza
far niente, senza impegni, sembra uno spreco del nostro tempo.
Per evitare questa condizione,
abbiamo inventato ogni genere di passatempo e di divertimento: radio,
televisione, computer, cellulari, cinema, chiacchiere, balli, viaggi, feste,
libri, giochi… Dobbiamo ad ogni costo riempire il vuoto. Ne parlava già Pascal.
In meditazione ragioniamo
diversamente. Non si tratta di fuggire la noia o gli altri stati d’animo che
giudichiamo negativi, cercando di cancellarli con i loro contrari. Questo è il
solito gioco circolare. Ma si tratta di accettare il fatto che la realtà non
può sempre essere piacevole.
Prendiamo dunque coscienza dell’ineliminabilità
degli stati d’animo negativi e, anziché cercare di fuggirli con manovre di
negazione, di evasione o di evitamento, osserviamoli apparire, permanere per un
po’ e poi sparire.
Questa presa di coscienza ci permette
di non assumere un semplice atteggiamento repressivo che finirà per farli
penetrare sempre più a fondo. Osservarli bene, guardarli in faccia. Questa è la
realtà delle cose: l’impermanenza, la dialettica e la ciclicità.
Il piacevole e lo spiacevole, la
felicità e la sofferenza, non esistono da soli, ma sono complementare gli uni
agli altri.
Tutti cerchiamo la felicità. Ma
dobbiamo sapere che può esistere solo in rapporto al suo contrario.
In realtà, la strategia meditativa
non si limita ad assistere inerte, ma svolge una funzione omeostatica di riequilibratura:
riesce a ridurre le oscillazioni degli stati emotivi, riportandoli verso il
giusto mezzo equanime.
Per quanto riguarda la noia, cercare
di riempire il vuoto è chiaramente impossibile in un mondo che è fatto di
vuoto. Proprio il vuoto sembra essere la natura ultima.
Tanto vale prenderne atto, cercando
di sfruttarlo per meditare, ossia per volgere l’attenzione a questo substrato
onnipresente di tutto, sostanziato di calma e silenzio.
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