In meditazione la pratica
coincide con la realizzazione. Non nel senso che diventeremo di colpo degli
illuminati onniscienti, ma nel senso che otterremo subito quello stato di
calma, di benessere, di serenità e di chiarezza mentale che è uno degli scopi
della pratica.
Mentre le religioni ti
promettono qualcosa che potrai verificare solo dopo la morte, la meditazione ti
dice che nel momento in cui pratichi ottieni già quello che cerchi, non per una
grazia divina, ma in modo proporzionale ai tuoi sforzi.
I nemici della meditazione
sono l’agitazione, la confusione, il disagio, l’insoddisfazione e il malessere.
In tutti questi casi la pratica diventa più difficile, ma non impossibile.
Anzi, la via consiste proprio nel vincere questi stati negativi, o convivere
con essi, per ottenere di nuovo la calma. Questa è la pratica che si chiama śamatha (pronuncia sciamata).
In sintesi si tratta di
rimanere attenti, presenti e sereni, vincendo i pensieri distraenti.
Di solito, per ottenere
questo risultato, ci si concentra sulle sensazioni fisiche del respiro
allontanando i vari disturbi mentali.
Naturalmente, quando ci
alziamo dal cuscino di meditazione, i pensieri distraenti si ripresentano di
nuovo. E allora qui entra in gioco la nostra capacità di esserne consapevoli.
La consapevolezza ci permette di prenderne le distanze, di assorbirli e di
attutirli. A volte si tratta di una lotta lunga, che va ripetuta giorno per
giorno, aiutati dallo śamatha.
Tra realizzazione della
calma e sviluppo della consapevolezza, abbiamo a disposizione un potente
strumento di trasformazione. Non saremo più gli stessi e prenderemo in mano il
nostro destino.
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