giovedì 26 novembre 2015

Samatha

In meditazione la pratica coincide con la realizzazione. Non nel senso che diventeremo di colpo degli illuminati onniscienti, ma nel senso che otterremo subito quello stato di calma, di benessere, di serenità e di chiarezza mentale che è uno degli scopi della pratica.
Mentre le religioni ti promettono qualcosa che potrai verificare solo dopo la morte, la meditazione ti dice che nel momento in cui pratichi ottieni già quello che cerchi, non per una grazia divina, ma in modo proporzionale ai tuoi sforzi.
I nemici della meditazione sono l’agitazione, la confusione, il disagio, l’insoddisfazione e il malessere. In tutti questi casi la pratica diventa più difficile, ma non impossibile. Anzi, la via consiste proprio nel vincere questi stati negativi, o convivere con essi, per ottenere di nuovo la calma. Questa è la pratica che si chiama śamatha (pronuncia sciamata).
In sintesi si tratta di rimanere attenti, presenti e sereni, vincendo i pensieri distraenti.
Di solito, per ottenere questo risultato, ci si concentra sulle sensazioni fisiche del respiro allontanando i vari disturbi mentali.
Naturalmente, quando ci alziamo dal cuscino di meditazione, i pensieri distraenti si ripresentano di nuovo. E allora qui entra in gioco la nostra capacità di esserne consapevoli. La consapevolezza ci permette di prenderne le distanze, di assorbirli e di attutirli. A volte si tratta di una lotta lunga, che va ripetuta giorno per giorno, aiutati dallo śamatha.

Tra realizzazione della calma e sviluppo della consapevolezza, abbiamo a disposizione un potente strumento di trasformazione. Non saremo più gli stessi e prenderemo in mano il nostro destino.

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