La pratica della benevolenza (metta) consiste nell’augurare mentalmente agli altri di stare bene
e di essere felici. Si può augurare la felicità a chi vogliamo bene, a chi non
conosciamo ed anche a chi non ci piace o odiamo. “Che tu possa stare bene ed
essere felice..!”
Detta così, sembra una sciocchezza di tipo sentimentale, una
finzione o una presa in giro. In effetti, sembra una pratica velleitaria. Basta
un pensiero a far star bene un altro?
Certamente no. Ma la cosa si complica quando aggiungiamo che
tale pratica va rivolta anche verso noi stessi. “Che tu possa risolvere i tuoi
problemi ed essere sereno..!” E qui avrebbe un’influenza più concreta.
Il punto vero è che questa pratica può influire su noi stessi,
e, influendo sui nostri stati d’animo, può influire anche sugli altri. E non
per la potenza dei nostri pensieri o perché ci sentiamo buoni, ma perché si
tratta di riflettere sul nostro isolamento, sulla nostra idea di “io” e “altro”,
e quindi sul nostro stato di malessere.
Si tratta di sciogliere barriere che noi stessi abbiamo
costruito per dividerci da noi stessi (alienazione) e dagli altri, barriere che
hanno creato in noi una grande quantità di solitudine, di paura e di
sofferenza. Se superiamo questi stati d’animo, diventiamo più sereni e vediamo
gli altri sotto una luce diversa.
La meditazione di metta,
facendoci riconsiderare l’interconnessione e l’interdipendenza di tutti, ci
porta ad abbattere i muri divisori che abbiamo edificato da tanto tempo. E, se
cambiamo il nostro atteggiamento, inevitabilmente cambieremo in senso positivo
la nostra influenza sugli altri.
Se non ci credete, provate a rimanere calmi e sereni in un
ambiente teso. Non c’è neppure bisogno di augurare a tutti la felicità: basta
il vostro atteggiamento.
Siamo tutti responsabili dell’atmosfera che si è creata nel
mondo. Se c’è tanta paura e violenza, anche noi vi abbiamo contribuito.
Applicando e ragionando su metta
possiamo migliorare la Terra ed essere tutti più felici.
Il Buddha la sapeva lunga.
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