mercoledì 4 novembre 2015

La pratica della benevolenza

La pratica della benevolenza (metta) consiste nell’augurare mentalmente agli altri di stare bene e di essere felici. Si può augurare la felicità a chi vogliamo bene, a chi non conosciamo ed anche a chi non ci piace o odiamo. “Che tu possa stare bene ed essere felice..!”
Detta così, sembra una sciocchezza di tipo sentimentale, una finzione o una presa in giro. In effetti, sembra una pratica velleitaria. Basta un pensiero a far star bene un altro?
Certamente no. Ma la cosa si complica quando aggiungiamo che tale pratica va rivolta anche verso noi stessi. “Che tu possa risolvere i tuoi problemi ed essere sereno..!” E qui avrebbe un’influenza più concreta.
Il punto vero è che questa pratica può influire su noi stessi, e, influendo sui nostri stati d’animo, può influire anche sugli altri. E non per la potenza dei nostri pensieri o perché ci sentiamo buoni, ma perché si tratta di riflettere sul nostro isolamento, sulla nostra idea di “io” e “altro”, e quindi sul nostro stato di malessere.
Si tratta di sciogliere barriere che noi stessi abbiamo costruito per dividerci da noi stessi (alienazione) e dagli altri, barriere che hanno creato in noi una grande quantità di solitudine, di paura e di sofferenza. Se superiamo questi stati d’animo, diventiamo più sereni e vediamo gli altri sotto una luce diversa.
La meditazione di metta, facendoci riconsiderare l’interconnessione e l’interdipendenza di tutti, ci porta ad abbattere i muri divisori che abbiamo edificato da tanto tempo. E, se cambiamo il nostro atteggiamento, inevitabilmente cambieremo in senso positivo la nostra influenza sugli altri.
Se non ci credete, provate a rimanere calmi e sereni in un ambiente teso. Non c’è neppure bisogno di augurare a tutti la felicità: basta il vostro atteggiamento.
Siamo tutti responsabili dell’atmosfera che si è creata nel mondo. Se c’è tanta paura e violenza, anche noi vi abbiamo contribuito.
Applicando e ragionando su metta possiamo migliorare la Terra ed essere tutti più felici.

Il Buddha la sapeva lunga.

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