È molto difficile essere
sinceri con gli altri. Ma anche con noi stessi.
Il motivo è che viviamo in
base ad immagini che ci siamo fatti, in base a narrazioni che raccontiamo su noi stessi. Le chiamiamo “narrazioni”
dal momento che sono storie sul perché siamo o agiamo in un certo modo. E
possono essere migliori o peggiori di quel che siamo. Se diciamo: “Sono una nullità”,
forse ci denigriamo; se diciamo: “Sono un uomo che non ha mai paura e può
sempre vincere”, forse ci sopravvalutiamo.
Certamente è difficile dare un giudizio obiettivo di sé, anche perché siamo fasci di io, da cui emergono ora l’uno ora l’altro sé.
Certamente è difficile dare un giudizio obiettivo di sé, anche perché siamo fasci di io, da cui emergono ora l’uno ora l’altro sé.
Il sé non è qualcosa di
definito, di immobile e di univoco: è un insieme di tendenze cangianti e,
talvolta, contraddittorie.
Alcune di queste tendenze
sono più persistenti e ricorrenti di altre. Durano qualche anno, confinate
dalla paura di perdersi, e poi svaniscono.
La vita e le relazioni
selezionano di volta in volta quelle più utili; ma ne esistono altre che
rimangono in ombra.
Però ciò che rimane più in ombra
è il contenitore spazioso in cui si agita questo piccolo sé.
Cerchiamo, in meditazione,
di liberarci, almeno per poco, di questo piccolo io, con tutti i suoi schemi,
le sue pretese e le sue identificazioni e ritrovare lo spazio libero in cui è
incastonato.
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