Un lettore mi scrive:
«Mi trovo assolutamente d'accordo con la sua distinzione
tra:
·
meditazione in senso
stretto (lo stare seduti e concentrarsi ecc.)
·
meditazione discorsiva
analitica.
Nella pratica meditativa dobbiamo alternare le due tecniche
per poi tornare sempre alla “sintesi”, alla visione di insieme che è esperibile
nella meditazione “classica”.
Non di meno, trovo che sia sempre di più importante,
rimarcare l'importanza e la necessità della seconda fase, cioè quella
caratterizzata da un'analisi razionale discorsiva dei problemi che
caratterizzano la nostra esistenza quotidiana.
Perchè dico questo?
Perché mi capita di osservare questo strano fenomeno (mi
dirà se è d'accordo).
Ormai la meditazione sta entrando a far
parte, anno dopo anno, del vissuto dell'uomo occidentale. Pubblicazioni, siti
web, articoli, inchieste scientifiche. Ormai le tecniche orientali stanno
diventando una moda. Tutto ciò è un fenomeno comprensibile. E' noto che le
religioni tradizionali non offrono risposte ma solo dogmatismi; inoltre, per
chi è dotato di un grado sufficiente di onestà spirituale, è evidente che
l'aderire ad un “pacchetto di verità rivelate” non assicura il miglioramento di
sé.
Le religioni istituzionali forniscono una visione del
mondo, ma sono carenti riguardo a quel lavoro su di sé, che dovrebbe essere
l'autentico cuore di una pratica spirituale.
Un tempo forse, non era così. La letteratura cristiana, è
noto, era foriera di esercizi spirituali (si pensi ad Ignazio di Loyola) ma
nella cultura cristiana moderna tutto ciò è scomparso.
Cosa è rimasto? Cosa rimane in mano al fedele per
affrontare il peso schiacciante della quotidianità? Lo sappiamo: il potere
rassicurante della superstizione.
E la superstizione comincia laddove finisce l'onestà
spirituale. Ci si affida ad un qualcosa, sia esso un miracolo, o la grazia
divina, o un preteso potere taumaturgico e onni-risolutivo della preghiera...
Perchè faccio questa analisi che le risulterà ovvia?
Perchè volevo riflettere su quella che è, a mio parere, una
tendenza, emergente nel vasto mondo delle pratiche meditative, del tutto simile
a quella descritta relativamente alle religioni istituzionali.
Mi sembra che l'adesione sempre più massiccia delle persone
alla meditazione, stia ricalcando gli aspetti più deleteri e bigotti tipici
delle religioni rivelate.
In sostanza, ho l'impressione che la gente si affidi agli
esercizi meditativi con la stessa fiducia cieca e incosciente con cui ci si
affida ad una statuetta della madonna di Medjugorie.
Basta contare i respiri... tre volte al giorno, prima e
dopo i pasti.. ormai i studi lo dimostrano, ...ripetete questo mantra ecc ecc.
Nella digestione che la civiltà occidentale sta operando
del fenomeno “dhyana”, si vedono due eccessi opposti, ascrivibili a due tipi di
personalità umane (che io chiamerò il “devoto” e l'”a-metafisico”):
·
il devoto: chi si
accosta alla meditazione, sposando in toto aspetti delle culture orientali che
non gli appartengono e che probabilmente sono talmente vetusti da non
appartenere neanche alle culture orientali odierne. (abiti cerimoniali,
posizioni meditative impossibili, rituali discutibili, dogmi metafisici astrusi
e inaccettabili, ecc.).
·
L'a-metafisico: chi si
accosta alla meditazione, allontanandosi da qualunque presupposto filosofico,
anche il più generico. Tali persone ostentano un totale a-metafisicismo, come
se lo sperimentare il dhyana, fosse una vuota tecnica fine a se stessa; come se
il ripercorrere gli stati meditativi non comportasse (almeno per sommi capi!)
riflettere sugli aspetti essenziali di una certa visione metafisica del mondo.
(l'impermanenza delle cose, ad esempio).
Manca in quei due eccessi, a mio parere, quella seconda
parte del lavoro su se stessi, non meno importante, anzi necessaria, che lei
giustamente definisce “meditazione discorsiva”.
Senza quella seconda fase, a mio parere, la meditazione
diventa un mero esercizietto rassicurante, una moda new-age e nulla più. Una
moderna superstizione.
Questo è abbastanza ovvio per il “devoto” che, dopo aver
abbandonato il cristianesimo si converte agli aspetti esteriori del buddhismo.
Ma anche per l'a-metafisico che rifiuta ogni coinvolgimento filosofico.
Costui dirà... ma quali discorsi filosofici inutili, …,
l'impermanenza dell'io, l'atman ...tutte baggianate... il fatto importante è
che la meditazione funziona!, provate!.
Certo, funziona. E la stessa identica cosa, la sento dire,
giornalmente, agli speaker di Radio Maria, quando invitano i fedeli
radio-ascoltatori, alla pratica quotidiana del santo rosario. Non nutro dubbi
sul fatto che, anche il rosario funzioni: un credente quando prega con
devozione , riceve un forte sostegno psicologico da tale pratica quotidiana
calmante e rassicurante (un mantra cristiano) .
E allora? Allora si è ritornati a ciò da cui si credeva di
esser fuggiti.
L'abbiamo visto, perfino la seconda tendenza,
l'a-metafisico radicale, colui che non vuole neanche sentir parlare di nessun
presupposto filosofico, perfino lui, cade nella superstizione.
La meditazione, in queste persone, è ridotta a mero
esercizio tecnico... automatico! La liberazione è un automatismo da conseguirsi
con la pratica costante, esattamente come un esercizio fisico e nulla più.
Personalmente, sono approdato alla
meditazione (che per anni ho tenuto lontana, forte di un pregiudizio che me la
faceva sembrare una moda esotica new-age) dopo un lungo studio dell'etica
stoica (sopratutto Epitteto). Arrivato ad un certo punto, dopo tanto meditare
filosofico, mi è sembrato quasi naturale tentare “qualcosa” che avrebbe dovuto
dare concretezza tangibile agli esercizi spirituali degli stoici.
Infatti l'etica neo-stoica afferma (Epitteto, Manuale, I)
che è in nostro potere l'opinione sugli eventi.
Più prudentemente, sarebbe stato meglio affermare che, potenzialmente,
siamo in grado di fare un “passo indietro” di fronte agli eventi, riuscendo
così a vederli nella loro nudità, senza costruzioni mentali. Tale capacità, lo
sappiamo, nella vita di tutti i giorni, spesso viene meno. E' una potenzialità
da far crescere.
Arrivo, alla fine della mia lunga riflessione, ad esporre
la mia tesi.
La meditazione (orientale) è il necessario
complemento della riflessione discorsivo-filosofica:
se così non fosse, tale riflessione filosofica rimarrebbe
uno sterile discorso intellettuale. Allo stesso modo la riflessione filosofica,
è il complemento necessario della meditazione orientale. Se infatti la
meditazione rappresenta un ritorno alla sintesi, alla visione d’insieme, al
senso generale dell’essere presenti, alla consapevolezza di sé, ad esperire
l’unità del tutto, è anche vero che tale sintesi (caratterizzata
dall'assenza di sovrastrutture mentali) è preceduta da un lungo e attento
lavoro di de-costruzione analitica: quello operato dalla riflessione
filosofica.
Si esperisce l'Uno, non solo nello sguardo sintetico della
meditazione, ma, lo si esperisce (seppur in altra forma) anche nella
razionalità logica che, non è un caso, è condivisa da tutti gli esseri
senzienti.
Allo stesso modo, non mi sembra un caso il fatto che lei
giustamente sottolinei come l'illuminazione non sia improvvisa ma un processo
in continuo divenire: quello attuato dalla cooperazione continua di quelle due
modalità, meditazione e riflessione.
Se manca la prima, cadiamo in un vuoto intellettualismo. Se
manca la seconda cadiamo in nuove forme di fideismo superstizioso.
Ecco ho finito. Dietro i nostri pensieri confusi c'è un io
assoluto, una presenza, quel testimone che cerchiamo di far emergere nella
nostra pratica di meditazione; parimenti, ad interconnettere i nostri pensieri
c'è un logos, una razionalità, quella condivisa da tutti, non per questo meno
importante, perché è una diversa forma di percepire l'Uno.»
In linea di massima
mi trovo d’accordo con le opinioni del lettore. Non possiamo certo rinunciare
alla nostra cultura filosofica, psicologica e religiosa (nonché a quella
dell’Oriente, che è altrettanto vasta). Giustamente viene citato lo stoicismo,
ma si potrebbe aggiungere Plotino, il neoplatonismo e molti altri filosofi; e
inoltre gran parte del misticismo e della contemplazione apofatica del
cristianesimo e di altre religioni.
In
sostanza, più si conosce, meglio è; più la nostra cultura riesce ad abbracciare
le culture del mondo, più questo ci aiuterà a praticare la meditazione e a
capirne il senso, evitando forme di semplice devozionismo o di indottrinamento
da parte di qualche guru, orientale o occidentale.
Ma
dobbiamo precisare che non è semplice conoscenza intellettuale, perché utilizza
una modalità esperienziale. La conoscenza discorsiva serve ad avvicinarsi alla
meta e ad escludere le vie sbagliate; e serve comprendere più a fondo l’esperienza
del risveglio. Ed è vero che una modalità non può fare a meno dell’altra.
Analisi e sintesi devono continuamente alternarsi. Tuttavia capire
intellettualmente l’unità delle cose non è farne esperienza. Così come capire e
ragionare sull’amore aiuta a intuire qualcosa, ma non può sostituirsi al farne
esperienza.
. Sono d'accordo.
RispondiEliminaFare esperienza dell'Uno è cosa superiore a qualunque costruzione intellettuale.
la razionalità, anche se genere di conoscenza "inferiore" , è una sorta di anticipazione abbozzata dell'unità e della verità. Inoltre essa ci avverte delle costruzioni false e le smonta, confutandole. Non può però costruire o trovare la verità. Ed infatti nei secoli, i filosofi si sono inutilmente affannati a dimostrare l'esistenza di Dio. Ma solo la falsità è dimostrabile. La verità è esperibile.
Quel lettore