Ognuno è se stesso e non può
che essere se stesso. Ma la cosa tragica è che si crede un altro, non sa chi sia
questo se stesso.
Può credersi tutta a vita
qualcun altro, perché non conosce se stesso, perché svolge ruoli sociali che lo
costringono a “recitare” altre parti, perché gli altri, la società, la
famiglia, ecc, gli instillano l’idea che sia fatto in un certo modo, perché,
anziché conoscere se stesso, si pensa: pensa
di essere invece di essere.
La società non aiuta
l’individuo a conoscere se stesso, a stare in contatto con se stesso, perché
gli costruisce addosso personalità artificiali e perché non gli permette di
restare in intimità con se stesso, ma gli impone continuamente qualche ruolo,
qualche dovere.
Se non resterai un po’ con
te stesso, lontano da tutti e in silenzio, non saprai mai chi sei veramente;
continuerai ad essere una maschera, un prodotto sociale.
Il primo scopo della
meditazione è proprio questo: conoscere il proprio vero io.
Il secondo scopo è capire
che anche questo io, questa personalità, è comunque un prodotto della mente,
perché anche la mente è un prodotto sociale.
C’è un altro io, chiamiamolo
sé, che è anteriore alla personalità sociale. È quel soggetto che è sempre
testimone, che è sempre presente, che osserva tutto ciò che succede, senza
identificarvisi.
Identificazione e
disidentificazione sono il movimento della meditazione. Ci si disidentifica con
l’io sociale e mentale, e si trova l’identità più profonda che è pura
testimonianza.
Questa attività di
testimonianza non può essere fatta oggetto di conoscenza mentale, perché è la
cornice entro cui avviene ogni conoscenza.
Il nostro scopo è uscire
dall’io sociale, uscire dall’io mentale ed essere ciò che è sempre presente.
Prima trovare la propria
personalità e poi oltrepassare anche quella, verso quel sé che è sempre meno
personale, che è pura testimonianza.
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