Nello zen si dice che, finché desideriamo diventare qualcuno, siamo
sulla strada sbagliata. Imbocchiamo invece la strada giusta quando incominciamo
a considerarci “niente di speciale”.
Tutta la vita cerchiamo di essere qualcuno o qualcosa: ricchi, potenti,
rispettati, sapienti… Studiamo e lavoriamo per essere qualcuno, per farci una
posizione, per acquisire titoli e ruoli.
Ci sentiamo realizzati quando otteniamo prima una laurea e poi un lavoro
prestigioso, quando guadagniamo tanto ed otteniamo un elevato status sociale,
riconosciuto da tutti e ricco di privilegi.
Questo significa diventare qualcuno, per la società, per gli altri. Ma
per noi?
Più che realizzare noi stessi, tendiamo ad essere superiori agli altri,
ad ottenere importanza e reputazione.
Non che questo sia sbagliato in sé: se mettiamo a frutto le nostre
capacità, i nostri talenti, non c’è niente di male, anzi.
Ma dobbiamo evitare la trappola di considerare lo status sociale
qualcosa che possa risolvere i nostri problemi interiori: paura, ansia,
insicurezza…
In altri termini, possiamo ottenere potere, soldi e reputazione, e
raggiungere una condizione di privilegio, senza aver risolto i nostri problemi
interiori.
Dobbiamo perciò distinguere tra l’uomo interiore e l’uomo sociale, tra
essenza e ruoli. I due possono vivere su piani diversi, e le realizzazioni dell’uno
possono non essere le realizzazioni dell’altro. Anzi, spesso le realizzazioni
dell’uno servono a nascondere le mancanze dell’altro.
Dobbiamo capire e sentire che cosa ci sia di essenziale in noi stessi,
dobbiamo comprendere quali siano le esigenze dell’uomo interiore, quello che
sta sotto tutti i rivestimenti sociali.
È la realizzazione di questo uomo basico, il sé, che deciderà alla fine
che cosa siamo veramente e se ci siamo liberati dai più comuni condizionamenti.
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