Un lettore mi scrive: « Pratico la meditazioni
quotidianamente e ho partecipato a ritiri con la comunità italiana
di Tich Nath Hahn.
Ho una domanda da porle. Da un po’ di tempo mi sento bloccato nel mio percorso di pratica e da qualche giorno ho
preso coscienza della ragione di tale blocco. Ho letto che solo l'esperienza ha il "potere" di cambiare la mia vita , la conoscenza intellettuale di una verità senza esperire la stessa non è in grado di innescare il processo di cambiamento. Mi sembra così di vivere un paradosso: vivo quotidianamente una realtà illusoria che io sperimento come vera mentre la vera natura delle cose, di cui leggo
e mi convinco, continua sfuggirmi in termini di esperienza. Ho anche letto che la meditazione ha anche questo
scopo, farci sperimentare la nostra vera natura. Ma al di là delle difficoltà, spesso questa aspettativa mi crea tensione,
come se aspettassi con ansia che qualcosa mi si riveli. E incomincio anche a crearmi "immagini" su cosa dovrei trovare.
Avrei tante cose da dire per specificare meglio il senso di disagio che sto provando, spero di essere stato comunque abbastanza chiaro.»
Ho una domanda da porle. Da un po’ di tempo mi sento bloccato nel mio percorso di pratica e da qualche giorno ho
preso coscienza della ragione di tale blocco. Ho letto che solo l'esperienza ha il "potere" di cambiare la mia vita , la conoscenza intellettuale di una verità senza esperire la stessa non è in grado di innescare il processo di cambiamento. Mi sembra così di vivere un paradosso: vivo quotidianamente una realtà illusoria che io sperimento come vera mentre la vera natura delle cose, di cui leggo
e mi convinco, continua sfuggirmi in termini di esperienza. Ho anche letto che la meditazione ha anche questo
scopo, farci sperimentare la nostra vera natura. Ma al di là delle difficoltà, spesso questa aspettativa mi crea tensione,
come se aspettassi con ansia che qualcosa mi si riveli. E incomincio anche a crearmi "immagini" su cosa dovrei trovare.
Avrei tante cose da dire per specificare meglio il senso di disagio che sto provando, spero di essere stato comunque abbastanza chiaro.»
Una situazione molto comune, praticamente una tappa obbligata del percorso di meditazione. Come si risolve?
Si risolve prendendo a oggetto di meditazione proprio
questo senso di ansia e di disagio. Concentrarsi su di esso anziché cercare
evitarlo.
Le difficoltà che incontriamo non sono ostacoli alla via:
sono la via stessa. Se non stessimo male, perché mediteremmo? Possiamo non
stare male se perdiamo il lavoro, se ci ammaliamo, se non otteniamo ciò che
vogliamo, se non abbiamo denaro, se viviamo con chi non ci piace o se perdiamo
qualcuno?
Il problema è che noi nutriamo delle aspettative troppo
rosee e ci facciamo un’immagine idilliaca di ciò che la meditazione dovrebbe
essere e a che cosa dovrebbe portarci. Insomma, anche la meditazione ha le sue
illusioni e delusioni, che tuttavia diventano i nostri migliori insegnanti
quando comprendiamo che sono forze sempre attive nella vita di tutti i giorni.
Ma la realtà è brutale e la vita se ne frega delle nostre
aspettative e ci presenta quello che vuole lei. Noi, a nostra volta, dobbiamo
fregarcene di queste difficoltà e considerarle un utile materiale di
meditazione. Chi la dura, la vince. E, se osserviamo le difficoltà e gli
ostacoli con distacco, ecco che ci poniamo su un altro livello e stiamo
progredendo di nuovo.
L’importante è esperire
la realtà così com’è, bella o brutta che sia. La meditazione nasce certamente
per vincere il disagio, il malessere, la sofferenza. Ma non si può batterla per
sempre e sempre. E, quando la sofferenza o l’aridità si ripresentano, dobbiamo
dirci: “Sei di nuovo qua, brutta bestia. Non mi fai paura. Io ti conosco. Ora
ti sistemo”.
Dobbiamo portare la consapevolezza sull’esperienza del
momento, qualunque sia.
La meditazione è una forma di omeostasi: riporta
l’equilibrio nel nostro animo.
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