Ma se noi siamo Dio o una parte del tutto che possiamo chiamare Dio, la preghiera non diventa un'esortazione verso noi stessi ad essere in comunione con il tutto -Dio? Ovvero una preghiera al nostro essere immutabile? Ettore Stella
La preghiera è definibile secondo due modalità: - preghiera contemplativa, quella in cui non si chiede niente e si rimane immersi in uno stato estatico di gratitudine, di accettazione incondizionata di bellezza, di percezione intuitiva della propria unità col cosmo.
-preghiera di domanda, nella quale si prega per ottenere “cose”, grazie particolari.
Ora, è evidente che la prima forma, quella contemplativa, è quella che (almeno idealmente) si dovrebbe realizzare in uno stato meditativo autentico. Vale a dire una esperienza autentica dell'unità dell'io e del tutto. Secondo questa accezione, meditazione e preghiera (contemplativa) sono la stessa identica cosa.
La seconda modalità, la preghiera di domanda, è un tipico prodotto della mentalità delle religioni del “sacrificio”. E cioè: faccio qualcosa, per ingraziarmi Dio, il Tutto. E' evidente in questo caso, la disonestà spirituale e intellettuale del pregante: egli sa di non essere il Tutto ma quasi è portato a pensare che il Tutto-Dio sia a suo servizio, a sua disposizione. Lo si invoca. Cioè gli si danno degli ordini!
Perciò, per rispondere alla questione del sig. Ettore, io direi così:
-se per “preghiera” si intende una esortazione o, meglio, una aspirazione alla liberazione e al miglioramento, allora “per avere questa aspirazione, non c'è bisogno di nessuna parola”. Infatti tale aspirazione è già contenuta nello sforzo meditativo. Meglio allora non chiamarla preghiera, giusto per non cadere in equivoci.
-se invece “preghiera” è intesa come un rituale avente lo scopo dell'annullamento della distanza io-Tutto, in quel caso, si ricade nella mentalità delle religioni rivelate. La presunzione, sta nel voler raggiungere l'illuminazione, come in un miracolo, come per effetto di una grazia divina. In questo caso, invece di rimuovere l'abisso che ti separa dall'Uno, al contrario, alimenti una falsa speranza e... “ti dividi” ancora di più dalla Verità. Ivano Zuccolotto
Quello che importa secondo me è la purezza d'animo e delle intenzioni nel momento in cui ci si rivolge a Dio, non importa se lo fai in silenzio chiacchierando o addirittura urlando; ciò che conta a parere mio è l'umiltà e la sincerità con cui ci si rivolge a Dio. La preghiera ad ogni modo secondo me avvicina comunque a Dio e cioè quella parte spirituale che è dentro ogni uomo. Poi sarà anche vero che lassù le chiacchiere stanno a zero, ma noi purtroppo o per fortuna siamo qui giù su questa terra e qui le regole sono diverse secondo me.
Ma, in fondo, anche qui da noi le regole non sono così diverse. C'è chi chiacchiera e chi fa i fatti. E finché si chiacchiera non si fanno i fatti. Le parole, nate per comunicare, possono essere utilizzate per confondere e distanziarsi. E non sono in grado di esprimere certe realtà. In ogni caso, ciò che conta è l'intenzione sincera e seria che va al di là delle parole.
Ma se noi siamo Dio o una parte del tutto che possiamo chiamare Dio, la preghiera non diventa un'esortazione verso noi stessi ad essere in comunione con il tutto -Dio? Ovvero una preghiera al nostro essere immutabile?
RispondiEliminaEttore Stella
Sì, ma per avere questa aspirazione non c'è bisogno di nessuna parola. Se parli a te stesso, già ti dividi in due.
RispondiEliminaProvo a spiegare con parole mie.
RispondiEliminaLa preghiera è definibile secondo due modalità:
- preghiera contemplativa, quella in cui non si chiede niente e si rimane immersi in uno stato estatico di gratitudine, di accettazione incondizionata di bellezza, di percezione intuitiva della propria unità col cosmo.
-preghiera di domanda, nella quale si prega per ottenere “cose”, grazie particolari.
Ora, è evidente che la prima forma, quella contemplativa, è quella che (almeno idealmente) si dovrebbe realizzare in uno stato meditativo autentico. Vale a dire una esperienza autentica dell'unità dell'io e del tutto. Secondo questa accezione, meditazione e preghiera (contemplativa) sono la stessa identica cosa.
La seconda modalità, la preghiera di domanda, è un tipico prodotto della mentalità delle religioni del “sacrificio”. E cioè: faccio qualcosa, per ingraziarmi Dio, il Tutto.
E' evidente in questo caso, la disonestà spirituale e intellettuale del pregante: egli sa di non essere il Tutto ma quasi è portato a pensare che il Tutto-Dio sia a suo servizio, a sua disposizione. Lo si invoca. Cioè gli si danno degli ordini!
Perciò, per rispondere alla questione del sig. Ettore, io direi così:
-se per “preghiera” si intende una esortazione o, meglio, una aspirazione alla liberazione e al miglioramento, allora “per avere questa aspirazione, non c'è bisogno di nessuna parola”. Infatti tale aspirazione è già contenuta nello sforzo meditativo. Meglio allora non chiamarla preghiera, giusto per non cadere in equivoci.
-se invece “preghiera” è intesa come un rituale avente lo scopo dell'annullamento della distanza io-Tutto, in quel caso, si ricade nella mentalità delle religioni rivelate. La presunzione, sta nel voler raggiungere l'illuminazione, come in un miracolo, come per effetto di una grazia divina. In questo caso, invece di rimuovere l'abisso che ti separa dall'Uno, al contrario, alimenti una falsa speranza e... “ti dividi” ancora di più dalla Verità.
Ivano Zuccolotto
Quello che importa secondo me è la purezza d'animo e delle intenzioni nel momento in cui ci si rivolge a Dio, non importa se lo fai in silenzio chiacchierando o addirittura urlando; ciò che conta a parere mio è l'umiltà e la sincerità con cui ci si rivolge a Dio. La preghiera ad ogni modo secondo me avvicina comunque a Dio e cioè quella parte spirituale che è dentro ogni uomo. Poi sarà anche vero che lassù le chiacchiere stanno a zero, ma noi purtroppo o per fortuna siamo qui giù su questa terra e qui le regole sono diverse secondo me.
RispondiEliminaSaluti sinceri
Namaste
alberto
Ma, in fondo, anche qui da noi le regole non sono così diverse. C'è chi chiacchiera e chi fa i fatti. E finché si chiacchiera non si fanno i fatti.
RispondiEliminaLe parole, nate per comunicare, possono essere utilizzate per confondere e distanziarsi. E non sono in grado di esprimere certe realtà. In ogni caso, ciò che conta è l'intenzione sincera e seria che va al di là delle parole.