Non mi riferisco ai soldi che
ci costa la religione e alla sua pretesa di essere mantenuta dallo Stato, ma al
fatto che alla sua base si trovi un principio economico: l'equilibrio del dare
e dell'avere. Tutte le religioni infatti partono dal presupposto che le azioni
umane verranno giudicate da qualche Dio o da qualche principio karmico che
stabilirà una specie di partita doppia, dove da una parte ci saranno le azioni
positive e dall'altra parte le azioni negative. Poi si farà il bilancio, e chi
non ha messo da parte abbastanza, chi non ha alimentato il proprio conto
corrente, verrà irrimediabilmente punito.
Il principio
dell'economia - d'altronde è ben espresso da Gesù quando dice nei Vangeli:
"A chi ha sarà dato sempre di più e a chi non ha sarà tolto anche quello
che ha". Insomma è la mentalità economico-finanziaria che vediamo in
azione sempre. Non a caso, sempre Gesù utilizza spesso parabole a base di soldi
(talenti), di banchieri e di mercanti. Per lui il regno di Dio può essere
paragonato ad un mercante, a un banchiere o a un saggio amministratore che
chiede ai suoi di render conto di come hanno investito il denaro loro affidato.
E chi non lo avrà fatto rendere... sarà punito.
Insomma la religione
così concepita è soltanto un sottoprodotto della mente economica, che si illude
di essere qualcosa di spirituale. Se l'umanità è ridotta in uno stato
miserevole, se la nostra vita è determinata dai soldi che abbiamo, se preti,
vescovi, cardinali e papi sono degli affaristi, lo dobbiamo proprio a queste
religioni della partita doppia.
D’altronde n Italia, a
capo di una nota fondazione bancaria si trova direttamente una suora! E nessuno
se ne meraviglia. Non c'era bisogno del protestantesimo per risvegliare lo
spirito del capitalismo: c'era già tutto nei Vangeli.
Per le nostre
religioni, per la mente umana, il principio economico è il fondamento cosmico.
Anche la teologia rientra nella legge del dare e dell’avere. Se poi la società umana è tutta basata sul denaro, non ci lamentiamo.
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