domenica 16 dicembre 2018

Religione ed economia


Non mi riferisco ai soldi che ci costa la religione e alla sua pretesa di essere mantenuta dallo Stato, ma al fatto che alla sua base si trovi un principio economico: l'equilibrio del dare e dell'avere. Tutte le religioni infatti partono dal presupposto che le azioni umane verranno giudicate da qualche Dio o da qualche principio karmico che stabilirà una specie di partita doppia, dove da una parte ci saranno le azioni positive e dall'altra parte le azioni negative. Poi si farà il bilancio, e chi non ha messo da parte abbastanza, chi non ha alimentato il proprio conto corrente, verrà irrimediabilmente punito.
Il principio dell'economia - d'altronde è ben espresso da Gesù quando dice nei Vangeli: "A chi ha sarà dato sempre di più e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha". Insomma è la mentalità economico-finanziaria che vediamo in azione sempre. Non a caso, sempre Gesù utilizza spesso parabole a base di soldi (talenti), di banchieri e di mercanti. Per lui il regno di Dio può essere paragonato ad un mercante, a un banchiere o a un saggio amministratore che chiede ai suoi di render conto di come hanno investito il denaro loro affidato. E chi non lo avrà fatto rendere... sarà punito.
Insomma la religione così concepita è soltanto un sottoprodotto della mente economica, che si illude di essere qualcosa di spirituale. Se l'umanità è ridotta in uno stato miserevole, se la nostra vita è determinata dai soldi che abbiamo, se preti, vescovi, cardinali e papi sono degli affaristi, lo dobbiamo proprio a queste religioni della partita doppia.
D’altronde n Italia, a capo di una nota fondazione bancaria si trova direttamente una suora! E nessuno se ne meraviglia. Non c'era bisogno del protestantesimo per risvegliare lo spirito del capitalismo: c'era già tutto nei Vangeli.

Per le nostre religioni, per la mente umana, il principio economico è il fondamento cosmico. Anche la teologia rientra nella legge del dare e dell’avere. Se poi la società umana è tutta basata sul denaro, non ci lamentiamo.


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