I nostri punti di vista – e quindi i giudizi e i sentimenti –
sono sempre relativi, soggettivi e interessati. Per vedere come stanno
veramente le cose (in qualsiasi campo), dovremmo dunque assumere un punto di
vista oggettivo, impersonale, universale e disinteressato. Ma per gli uomini
normali, privi di autoconsapevolezza, è quasi impossibile.
In realtà il nostro
punto di vista non dovrebbe essere nostro,
dovrebbe essere un non-punto di vista.
Non dovremmo assumere nessuna prospettiva personale. Dovremmo avere lo sguardo
di un ipotetico Dio impersonale. E questo è difficile.
Le nostre passioni, i
nostri sentimenti e le nostre opinioni sono in tal senso sempre fuorvianti.
Comunque rendersi
conto del problema è già un passo avanti.
Quando meditiamo
cerchiamo di mettere da parte le nostre preferenze, i nostri sentimenti, i
nostri pensieri, le nostre reazioni, i nostri interessi… per assumere un punto
di vista il più possibile universale. Siamo impassibili, assumiamo l’atteggiamento
del non-sé.
Resta il fatto che se
non ci evolviamo nel senso di una meditazione di consapevolezza generalizzata,
se ognuno rimane chiuso nel proprio recinto egoico, nella propria tradizione,
nella propria religione, nel proprio punto di vista, se gli elementi di
disunione non vengono compensati da uno sguardo chiaro, non c’è futuro per
l’umanità.
La coscienza nasce da
un rispecchiamento di sé, da un autoriconoscimento, e solo le facoltà
riflessive possono condurci oltre l’animale da cui proveniamo.
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