Nel 1954, uno degli scienziati più
geniali degli ultimi secoli, Albert Einstein, scrisse una lettera in cui
esponeva la sua visione della religione tradizionale. Della propria religione,
il giudaismo, pensava che fosse “come tutte le altre, un’incarnazione di una
superstizione primitiva” e che gli ebrei fossero non un popolo prescelto, ma
uno come tutti gli altri.
Aggiungeva poi che "la parola Dio per me non è altro che espressione e
prodotto della debolezza umana” e “la Bibbia una collezione di leggende venerabili,
ma ancora primitive… abbastanza puerili",
In effetti queste appaiono le religioni ad una mente aperta,
che non si limita a ripetere le idee apprese da bambino, ma che vuole vederci
chiaro.
Le parole di Einstein che colpiscono sono “primitive” e “puerili”.
Perché le concezioni principali delle religioni sembrano espresse da una mente
infantile, da un’umanità che vive ancora ad uno stadio primitivo e che applica
a Dio immagini puerili.
Già nella Bibbia ebraica, Dio ne fa di tutti i colori: si arrabbia,
passeggia, lavora, si riposa, promuove guerre, stringe alleanze, minaccia,
mette alla prova, sceglie i suoi favoriti, ci ripensa, si pente, comanda
eserciti, ecc. Una figura contraddittoria, rozza, da fumetti. Poi nel Nuovo
Testamento, diventa un Padre che invia sulla Terra un Figlio facendolo nascere
da una madre vergine e infine sacrificandolo. Una storia da grand guignol,
partorita da menti primitive e infantili.
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