Certo, se riuscissimo a fare l’esperienza
dell’unione esistente fra noi e gli altri, nonché del fatto che siamo tutti
interdipendenti, non saremmo più capaci di far del male, perché sarebbe come se
facessimo del male a noi stessi, perché il corpo degli altri sarebbe come un
prolungamento del nostro.
È quel che avrebbero voluto i grandi
saggi del passato, come Confucio, Buddha e Gesù, con il loro invito a “non fare
agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te”. Ma non bastano le parole e
le prediche. È l’esperienza la vera intelligenza che può
portare ad un simile atteggiamento.
Tuttavia,
è a questa esperienza che, paradossalmente, si oppongono i sostenitori di un’anima
individuale. Più ti consideri un essere speciale, degno di eternità, più ti
distingui e ti dividi.
Non
si può fare questa esperienza se non si passa per il non-sé, se non si fa il vuoto
di tutto, anche dell’anima.
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