Lo spazio del non sé è
quella parte dell’io che non ci appartiene in parte o del tutto, ma che noi ci
attribuiamo erroneamente. Prendiamo le emozioni: è chiaro che nascono da
un’interazione con qualcosa di esterno. Noi le proviamo, ma non le produciamo
autonomamente. In tal senso non ne siamo né i padroni né i controllori. Sono
piuttosto gli altri e gli eventi che le producono.
Lo stesso vale per i
sentimenti e le sensazioni. A parte quelle necessarie all’evoluzione, tutte le
altre le subiamo e non ne siamo affatto i soggetti. Noi siamo soggetti a loro,
le subiamo.
Anche per i pensieri
lo schema si ripete. È vero che possiamo concentrarci a volontà su determinati
pensieri. Ma quando non ci applichiamo deliberatamente a un pensiero, i
pensieri sorgono per così dire da soli.
Sono poche le cose
veramente nostre. Lo spazio del nostro io è molto più limitato di quanto
crediamo. C’è un più vasto spazio i cui confini non sono definiti, a metà tra
noi stessi e ciò che ci circonda. È quello che noi definiamo non-sé, dato che
non ne siamo i padroni ultimi. Se togliessimo questo spazio intermedio, di noi
rimarrebbe ben poco.
Il fatto che l’io non
abbia confini definiti può essere una delusione per chi ama le certezze, per
chi s’illude di essere “padrone di sé”, ma ci dice che noi non siamo monadi
isolate. Al contrario siamo delle relazioni.
Questo ci toglie solidità, ma ci dà la possibilità di interagire con gli altri
e con il mondo.
Come gli eventi
influenzano il sé, il sé può influenzare gli eventi. È come se fossimo cellule
che comunicano con le altre e con l’esterno attraverso filamenti invisibili.
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