Esistono molti libri che si occupano del tema della felicità (“come
essere felici”) e magari associano questo argomento al buddhismo. Niente di più
sbagliato.
Il buddhismo, come via di saggezza, vi permette di ridurre la
sofferenza e quindi l’infelicità. Ma non vi illude dicendo che la condizione
umana possa essere sempre felice. Niente e nessuno può sfuggire al dolore. Nessuno
può sfuggire a nascita, vecchiaia, malattia e morte.
Lo scopo del buddhismo è un altro: raggiungere il nirvana,
ovvero come sfuggire al condizionato, come fuggire al desiderio di felicità e
di infelicità, di vita e di non vita, di essere e di non essere.
E, per sfuggire a tutto ciò, bisogna vedere la vita per
quello che è, con il suo carico di bene e di male, di gioie e di dolori, e
cercare di portarsi oltre il desiderio di qualche rinascita, che sarebbe
comunque condizionata, sia in questo mondo sia in qualche altro mondo o
paradiso.
Bisogna capire l’essenza della vita e passare oltre. Bisogna
capire che anche il nostro io, che noi vorremmo eterno, è un prodotto
condizionato. E quindi bisogna passare per l’esperienza del vuoto, del suo
vuoto, per approdare ad uno spazio più vasto.
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