La
parola nirvana (“estinzione”) indica
sempre qualcosa di doloroso che finisce. È una liberazione, un acquietarsi dopo
una tensione.
Non
a caso i buddhisti parlano della morte come del “grande nirvana”, ossia dell’uscita
dalla tensione dell’esistenza.
Ma
non basta morire per liberarsi definitivamente… se ci portiamo appresso
desideri mentali insoddisfatti.
Liberarsi
dai desideri non significa – come crede l’ascetismo tradizionale – non aver più
un desiderio. Ma saper distinguere i desideri dell’io dai desideri naturali.
Per
esempio, aver fame e quindi desiderare di mangiare non è un mio desiderio personale. Ma un desiderio
perfettamente naturale. Se però divento un avido ghiottone e mi rimpinzo di
ogni genere di cibo, sono dominato da qualche desiderio della mente.
Nel
primo caso, mangiare con consapevolezza può diventare una fonte di gioia e una
pratica di consapevolezza, perché in quel momento il mio io è un tutt’uno con l’universo.
Nel secondo caso, si tratta di un desiderio malato… fonte di schiavitù e di
dolore.
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