La
prima “nobile verità” enunciata dal Buddha è che la sofferenza è
onnipervadente. Difficile smentire, perché non si può negare che nascita,
vecchiaia, malattia e morte siano fonti di dolore; e lo stesso succede quando
ci tocca stare con chi non ci piace o essere separati da chi amiamo. Ma la
verità è che il divenire stesso è fonte di sofferenza. Noi non siamo mai
soddisfatti, abbiamo sempre un desiderio che ci tormenta e qualcosa che ci
manca.
Affermare
però che tutto è sofferenza e che c’è una via per uscirne è esagerato.
Piuttosto sarebbe meglio dire che tutto è un misto di gioia e dolore, in
quantità variabili. Si tratta infatti di due opposti che sono inseparabili e
complementari. Se c’è l’uno c’è l’altro.
Secondo
il Buddha, per vincere la sofferenza, dovremmo rinunciare ai desideri, ad ogni
rapporto e magari ritirarci in una foresta. Ma anche qui saremmo colpiti da vecchiaia,
malattia, morte e da desideri.
Non
possiamo insomma liberarci né dalla sofferenza né dal desiderio. Anche il
desiderio di non soffrire è un desiderio.
La
via, dunque, sta più in una saggia visione della realtà (che capisce l’interrelazione
fra gioie e dolori) e in una saggia discriminazione dei desideri, nella
consapevolezza che non potremo mai eliminare del tutto la sofferenza.
In
ogni caso, c’è un notevole spazio di manovra essere trascinati da qualsiasi
desiderio e riuscire a discriminare tra desideri negativi e inutili e desideri
benefici e necessari.
Questo
è lo spazio di manovra della saggezza.
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