Se vogliamo ribadire che la morte è
inevitabile, qualcuno toccherà ferro e penserà che è un argomento lugubre, da
evitare accuratamente.
Ma, poiché si tratta di una verità incontestabile,
non serve a nulla cercare di non pensarci. Tanto vale, invece, portare alla
luce della nostra coscienza ciò che vorremmo nascondere.
Una delle meditazioni più importanti è proprio
quella sulla morte, perché dà un senso vivido alla vita. Se ci limitiamo a
immaginare il nostro corpo morto o il nostro funerale, non sarà qualcosa di
profondo. O concettualizziamo o fantastichiamo, ma è difficile diventarne
consapevoli. Anche se tutti sappiamo di dover morire, in realtà rimane un
pensiero astratto, non esperienza.
Cerchiamo di insiste: “Anche io morirò. E il mondo
andrà avanti anche senza di me. Se dovessi morire domani, che cosa rimpiangerei,
che cosa non ho fatto?”
Per meditare sulla morte, dobbiamo rievocare i
momenti in cui abbiamo rischiato di morire. Meglio ancora, vivere l’istante in
cui rischiamo. Questo, fra l’altro, è il motivo per cui cerchiamo tante
attività pericolose. Sfidando la morte, vogliamo provare il senso della vita.
Inutile sfuggire. Dobbiamo meditare anche sugli
aspetti spaventosi della vita e non fare come tanti che dicono: “Andrà tutto
bene… Ce la farò in ogni caso…” La verità è che ci sarà sempre un momento in
cui le cose andranno male e il nostro ottimismo difensivo non servirà più a
niente. Allora non saremo preparati e il trauma sarà orribile.
Non dobbiamo combattere contro le verità
sgradevoli, ma accoglierle, accettarle, come momenti rivelatori della vita,
come esperienze di grande chiarezza. È questa chiarezza che ci trasforma da
esseri spaventati ad esseri consapevoli.
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