La pratica buddhista della benevolenza consiste
nell’augurare la felicità a tutti. Primo, si augura la felicità a se stessi.
Secondo, la si augura a qualcuno cui si vuol bene. Terzo, la si augura a una
persona che ci è indifferente, verso cui non si prova né un particolare
interesse né una particolare antipatia. Quarto, si arriva al passo più
difficile: augurare di star bene a qualcuno che si odia o che ci è antipatico.
Infine, si augura la felicità a tutti gli esseri viventi.
Questo esercizio può sembrare una pratica
ingenua e velleitaria, perché è illusorio pensare che si possa far felice
qualcuno con un metodo così semplice.
Ma, in realtà, si tratta di un esercizio con
cui creiamo in noi stessi calma e
benessere.
Infatti, la rabbia, l’odio o il disprezzo che
proviamo per qualcuno finiscono per rivoltarsi contro di noi, provocandoci uno
stato di agitazione, di tensione e di malessere.
Visualizzando la persona prescelta, possiamo
pensare o dire: “Che tu sia felice”.
Per trovare la calma, dunque, potremmo prima
riportare l’attenzione al respiro e poi eseguire l’esercizio della benevolenza.
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