Quando vediamo morire persone care,
restiamo come stupiti, se non scioccati. Come se non ce lo aspettassimo, come
se non dovessimo morire tutti.
Certo, ci sono le morti premature. Ma
perché stupirsi per le morti dei vecchi?
La verità è che noi, pur sapendo di
dover morire, non ci crediamo veramente – o non ci vogliamo credere. Gli
atteggiamenti di difesa o di evitamento dell’angoscia sono fondamentalmente
due: c’è chi dice che ci sarà un’altra vita e c’è chi cerca di non pensarci,
dedicandosi a mille attività evasive.
Però è tutto inutile. La presenza di
questa angoscia primaria aleggia sempre.
Proviamo allora a non eludere il
problema e a meditare proprio sulla morte.
Forse, se riuscissimo a non evadere
dal presente, a non produrre fantasie consolatorie, a non affidarci a fedi
riparatrici, a non sperare in futuri illusori e a pensare che viviamo in questo
momento e in questo luogo, e che possiamo essere consapevoli della morte senza
sentirci terrorizzati, se mantenessimo una posizione di forza e di presenza
mentale e se non ci lamentassimo come bambini che cercano la protezione della
mamma o del babbo – forse ci innalzeremmo non in un cielo fantasioso, ma nel
nostro vero essere, quello che non ha paura di morire.
Perché la liberazione è in realtà
liberazione dalla paura.
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