Di fronte al distacco irreparabile –
alla morte – gli uomini cercano una consolazione o comunque una qualche
continuità. In sostanza negano la realtà della morte.
Se per esempio muore un bambino, si
dice che sarà diventato un angelo. Se muoiono entrambi i genitori, si immagina
che si ritroveranno uniti in cielo. Se muore una persona cara, si spera di rivederla
un giorno. E così si immaginano paradisi, purgatori, inferni, resurrezioni,
assunzioni e reincarnazioni… un gran traffico di anime.
È umano, è naturale, ma si tratta pur
sempre di proiezioni o di speranze.
Ora, per un attimo, lasciamo perdere
ogni fantasia. E pensiamo alla morte come alla vera fine della vita, almeno
così come la conosciamo.
Il cervello si ferma e la mente si
dissolve. Si dissolvono le sensazioni, i pensieri e la coscienza. Che cosa
rimane?
Non eludiamo ancora una volta la
domanda. Non pensiamo ad una coscienza che possa sopravvivere alla morte del
corpo.
Restiamo fermi lì. Questa è la morte.
Realizziamo la fine, senza illusioni,
senza attenuanti, senza consolazioni. Ma anche senza paura.
Sperimentiamo la realtà.
Sperimentiamo la fine della mente.
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