Quasi tutti crediamo che, per essere più
felici, dobbiamo ottenere più cose: più proprietà, più denaro, più persone, più
amori, più piaceri e così via. Ma più moltiplichiamo i desideri e gli
attaccamenti, più aumentano le nostre preoccupazioni, le complicazioni della
vita, le ansie e le delusioni – e la nostra felicità va a farsi benedire.
La ricerca della felicità, basata su una
tale mentalità avida, approda inevitabilmente a una maggior sofferenza. E ben
presto possiamo capire che è meglio condurre una vita più semplice e cercare le
cose essenziali.
Per invertire questa marcia rovinosa, occorre
avere una certa saggezza – la saggezza di capire che cosa conti veramente nell’esistenza.
Avere una casa più grande o una macchina più potente ci dà più felicità? Fino
ad un certo punto sì, ma da quel punto in poi non aggiunge più nulla e crea
altra insoddisfazione.
Esiste un meccanismo perverso in base al
quale una ricerca della felicità diretta male produce il suo opposto: l’infelicità.
Ma dobbiamo rendercene conto, dobbiamo
sviluppare un minimo di saggezza.
Qui s’instaura un ciclo virtuoso. La
saggezza iniziale ci aiuta a capire come certi nostri comportamenti siano
sbagliati e il superamento dei comportamenti sbagliati ci porta ad aumentare la
saggezza.
Comunque, è chiaro che l’intero processo
si fonda su sulla capacità di riflessione e di meditazione, che è il vero
strumento decisivo.
Chi segue certi principi etici solo
perché gli vengono insegnati da un’etica religiosa o sociale, non è in grado di
sviluppare una vera consapevolezza. E chi non sviluppa una consapevolezza basata
sulle proprie esperienze e sulla propria saggezza, non può essere felice. Senza
contare che le etiche religiose o sociali possono anche insegnare principi
sbagliati.
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