sabato 27 febbraio 2016

La meta della felicità

Tutti i nostri processi, nella vita, sono guidati dal principio del piacere: noi desideriamo la felicità e ci sforziamo di evitare il dolore e le cose spiacevoli.
Questo avviene anche nel processo della meditazione, dove, all’inizio, veniamo guidati dalla ricerca della gioia e della felicità.
Tra gioia e felicità c’è una differenza. Se ci troviamo persi in un deserto, senza acqua e sotto un sole implacabile, e scorgiamo in lontananza un’oasi, proviamo gioia. Se poi la raggiungiamo e ci immergiamo in una fonte fresca, proviamo felicità.
In meditazione, proviamo gioia quando all’improvviso sperimentiamo un attimo di gioia perché, dopo qualche tentativo, si è allentata la tensione che di solito ci domina. È un attimo di sollievo. Nel deserto della vita, troviamo un’oasi di vitalità e questo ci fa sperimentare la gioia: allora c’è una via d’uscita!
Se riusciamo a prolungare e a rendere stabile questa gioia, sperimentiamo una vera felicità. Che sia questo il nirvana?
Purtroppo nel nostro mondo tutto è destinato a cambiare, e quindi questo stato d’animo è transitorio. Allora cerchiamo di trasferire la felicità dalle vicissitudini esteriori al centro del nostro essere.
Ma non basta: dobbiamo trasformarla. Anche la felicità è uno stato di eccitazione.
Ecco perché, nei passi successivi del processo meditativo, dobbiamo lasciarci alle spalle anche questa ricerca della felicità e trovare uno stato di quiete e di tranquillità.

La tranquillità è la maturazione più stabile della felicità, molto più vicina alla meta.

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