Tutti i nostri processi, nella vita,
sono guidati dal principio del piacere: noi desideriamo la felicità e ci
sforziamo di evitare il dolore e le cose spiacevoli.
Questo avviene anche nel processo della
meditazione, dove, all’inizio, veniamo guidati dalla ricerca della gioia e
della felicità.
Tra gioia e felicità c’è una differenza.
Se ci troviamo persi in un deserto, senza acqua e sotto un sole implacabile, e
scorgiamo in lontananza un’oasi, proviamo gioia. Se poi la raggiungiamo e ci
immergiamo in una fonte fresca, proviamo felicità.
In meditazione, proviamo gioia quando
all’improvviso sperimentiamo un attimo di gioia perché, dopo qualche tentativo,
si è allentata la tensione che di solito ci domina. È un attimo di sollievo. Nel
deserto della vita, troviamo un’oasi di vitalità e questo ci fa sperimentare la
gioia: allora c’è una via d’uscita!
Se riusciamo a prolungare e a rendere
stabile questa gioia, sperimentiamo una vera felicità. Che sia questo il nirvana?
Purtroppo nel nostro mondo tutto è
destinato a cambiare, e quindi questo stato d’animo è transitorio. Allora
cerchiamo di trasferire la felicità dalle vicissitudini esteriori al centro del
nostro essere.
Ma non basta: dobbiamo trasformarla.
Anche la felicità è uno stato di eccitazione.
Ecco perché, nei passi successivi del
processo meditativo, dobbiamo lasciarci alle spalle anche questa ricerca della
felicità e trovare uno stato di quiete e di tranquillità.
La tranquillità è la maturazione più
stabile della felicità, molto più vicina alla meta.
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