Non è detto che la comprensione debba
avvenire tutta d’un colpo, come nella classica illuminazione della mitologia
orientale. È più probabile
che avvenga gradualmente, a poco a poco, giorno dopo giorno, vita dopo vita.
È il percorso della vita-morte che
dovrebbe portarci a comprendere sempre di più. Che cosa?
Che il mondo è un’illusione. Che è come
una proiezione cinematografica di luci, ombre, suoni, colori, parole, pensieri,
stati d’animo, eventi, tragedie, commedie, ecc.
Niente di tutto questo è duraturo,
niente è reale, tanto meno il senso confuso e ansioso dell’io personale, che è
sempre instabile e doloroso. L’unica cosa che esista è la vastità dell’essere,
da cui e in cui tutto viene proiettato, come in un film.
Non ha senso dunque identificarci con la
mente-corpo-io, ma con questo senso dell’essere, impersonale e sconfinato: il
sé, la consapevolezza universale. Questa è la natura ultima della realtà.
Una natura ultima con cui possiamo
identificarci già da adesso, staccandoci con
l’osservazione dalle peripezie dell’io.
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