Per un istinto atavico, siamo abituati
ad inseguire ogni esperienza piacevole cercando di prolungarla e siamo abituati
a rifuggire ogni esperienza spiacevole cercando di abbreviarla il più
possibile. Anche in meditazione seguiamo, all’inizio, questo principio.
Ma noi vogliamo trascendere la comune
natura umana. E quindi esaminiamo le varie esperienze come se non ci
appartenessero, come se scorressero su uno schermo che non siamo noi.
Le vediamo comparire (motivate da tanti
fattori), perdurare per un po’ e poi sparire.
Osserviamo questo campo di battaglia
della nostra mente-schermo lasciando perdere sia il desiderio di acquisire
esperienze piacevoli sia il desiderio di evitare quelle spiacevoli.
Anzi, giungiamo al punto da non
preferire le une alle altre. Attrazione e avversione, infatti, sono solo i due
aspetti della brama fondamentale: desiderare le cose piacevoli e desiderare di
allontanare le cose spiacevoli.
In meditazione, il nostro scopo è lasciar andare l’intero meccanismo
reattivo, l’intero meccanismo del desiderio. Abbiamo scoperto che piacevolezza
e spiacevolezza sono le due facce di una stessa medaglia. Sono due estremi
complementari: non puoi avere l’uno senza avere l’altro. Perciò, o ti becchi l’inevitabile
alternanza o lasci andare l’intero funzionamento del desiderio.
Questo stato di non-coinvolgimento, di
non-preferenza, è l’equanimità.
Nello stato di equanimità non vogliamo
più che le cose siano diverse da come sono e trattiamo le esperienze piacevoli
come le esperienze spiacevoli. Non siamo più scossi da avidità, attaccamento,
avversione, amore e illusione. Scompaiono le paure, le preoccupazioni e le
tensioni.
Troviamo la pace (non più umana, non più
duale) della trascendenza.