Un tempo il trarre denaro
dalle cose e dalle funzioni sacre si chiamava simonia – ed è inutile dire che
era molto diffusa.
Oggi Papa Francesco ricorda
che non si possono imporre tariffe per i sacramenti. E, se lo dice lui, vuol
dire che i preziari nelle chiese sono ancora ben presenti. Ma che dire delle
attività finanziarie della Banca del Vaticano, dei compensi dovuti alla Sacra
Rota, dei soldi guadagnati dagli esercizi commerciali “religiosi” (esentati
ovviamente da qualunque tassa), dell’immenso patrimonio immobiliare, degli
alberghi gestiti da suore, delle cliniche private, eccetera, eccetera? E non
parleremo nemmeno dello scandalo della vendita delle indulgenze, che sotto
altre forme continua anche oggi.
Questa non è più simonia, ma
puro e semplice sfruttamento economico della religione.
In realtà, l’intera Chiesa
trae profitto dalle sue attività. I preti, per esempio, hanno uno stipendio,
una mutua, una pensione, eccetera. Ora, è giusto che ognuno abbia di che
sostentarsi dal suo lavoro. Ma non a spese dello Stato.
Invece, oggi la Chiesa
italiana e i suoi insegnanti di religione sono sostanzialmente a carico non dei
loro fedeli, ma di tutti i cittadini, con tasse che gravano su un paese già oppresso da mille balzelli.
Se il Papa vuol fare una cosa utile, dovrebbe dire: "Da oggi in poi ci manteniamo da soli!" - come si conviene d'altra parte a qualunque persona e istituzione dotata di dignità.
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