Ci illudiamo di essere
padroni di noi stessi.
Già quando diciamo “io
respiro” o “io digerisco” affermiamo qualcosa di falso. Il respiro o la
digestione non dipendono dalla nostra volontà. Non sono “io” che respiro o
digerisco, ma è il mio corpo che funziona da solo.
Ma anche per molte funzioni
psichiche avviene lo stesso. Per esempio possiamo dire “io penso” solo quando
ci applichiamo ad un problema specifico. Per tutto il resto del tempo, i
pensieri vanno e vengono quasi senza controllo, in automatico. E lo stesso avviene
per le sensazioni, i pensieri e i vari stati d’animo. Non siamo noi che li
produciamo: si producono in noi.
In realtà siamo come un
teatro in cui gran parte degli avvenimenti avvengono ad opera di attori che non
conosciamo, anche quando sono parti di noi. Insomma, più che vivere, siamo
vissuti.
Tutto ci è stato dato senza
che il nostro io abbia scelto niente: né il corpo, né il cervello, né il
destino. L’io si appropria di eredità, funzioni e vicende che non gli sono
affatto proprie. È la non conoscenza delle cose che ci fa credere che tutto
questo sia nostro o sia voluto dal nostro io. Ma, alla fine, la morte ci dice
la verità: abbiamo indossato vesti, forme e identità del tutto provvisorie e
decise altrove, nella notte dei tempi, nell’infinito.
Solo quando ci poniamo il
problema e incominciamo a rifletterci, ci rendiamo conto di quanto poco siamo
padroni di noi stessi, di quanto ereditiamo, di quanto ci viene dato in
prestito, di quanto poco siamo consistenti e reali. Fantasmi, siamo.
La nostra stessa
consapevolezza ci appare come una barchetta sballottata dalle onde di un oceano
sconfinato. Ma è l’unica cosa cui possiamo affidarci.
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